Cultura,  Politica,  Società

Le origini (occulte) della tecnocrazia

Nello scorso capitolo abbiamo fatto un piccolo tour introduttivo attorno all’edificio del potere per eccellenza, questa torre di controllo e sorveglianza che si erge al centro del panottico contemporaneo, e che abbiamo chiamata “tecnocrazia”. Ora, come annunciato, andremo a scavare fin sotto le sue fondamenta, per portarne alla luce le radici nascoste.

Se guardiamo i suoi frutti più recenti, come il transumanesimo e i progetti di ibridazione uomo-macchina, la prima considerazione che salta in mente ha un sapore un po’ retrogrado, quasi uscisse dalla bocca di un’anziana signora: “È pericoloso giocare a fare Dio!” Ebbene, forse quella signora la sapeva più lunga di noi. Vedremo infatti che dietro all’apparente razionalismo della modernità si cela niente meno che l’antico anelito all’auto-deificazione dell’uomo: “Eritis sicut Dii” (sarete come Dei!), ci sussurrava all’orecchio il serpente della genesi. Ed è proprio seguendo l’infida promessa luciferina che l’uomo è arrivato, dopo un percorso lungo secoli, alla crisi attuale. Andiamo a ripercorrerne le tappe principali.

Antichità
I pitagorici celebrano l’alba — Bronnikov (1869)

Fin dall’alba dei tempi sono esistiti gruppi di iniziati o “uomini saggi” che sostenevano di possedere dottrine segrete, meglio conosciute come “misteri”, incomprensibili al volgo e riguardanti l’origine ed il destino dell’uomo, la vita dell’anima dopo la morte e la natura degli esseri divini.

Molto famosi nel mondo antico erano i sacerdoti egizi, gli astrologi babilonesi e i magi persiani. In Occidente, dove la civiltà era ancora agli inizi, le forme di rito misterico erano comunque estremamente diffuse. Una delle figure più rilevanti della nostra storia è Pitagora di Samo (ca. 570 – ca. 495 a.C.), iniziato a tutti i grandi misteri del tempo e fondatore a sua volta di una scuola iniziatica a Crotone, nel sud Italia, dove lui e i suoi allievi conducevano una vita ascetica e comunitaria sotto giuramento di segretezza. La dottrina pitagorica includeva la credenza nella metempsicosi, o reincarnazione delle anime, oltre a numerosi insegnamenti di tipo matematico-numerologico (armonia delle sfere, geometria sacra, ecc.). L’influenza di Pitagora sui posteri fu enorme sia sul versante mistico che sul quello scientifico, e il suo personaggio semi-leggendario simboleggia forse meglio di chiunque altro la radice comune tra scienza ed esoterismo.

Fortemente influenzato da Pitagora fu anche Platone (ca. 427 — ca. 347 a.C.), uno dei padri della filosofia occidentale. Nella Repubblica (375 a.C.), Platone presenta il progetto utopico di una città-stato guidata da re-filosofi che vivono in perfetta comunione dei beni e governano con saggezza. Se da una parte è lecito vedere un parallelismo tra questo governo dei saggi e la tecnocrazia, non bisogna però dimenticare che vi è una bella differenza tra sapere scientifico e sapere filosofico, che per Platone è in primo luogo conoscenza del Bene.

Gnosticismo
Caduta di Simon mago — Carracci (ca. 1604)

Anche gli ebrei avevano una loro dottrina segreta, detta Kabbalah, in cui si tramandava il potere divino che essi attribuivano alla loro lingua e specialmente al sacro tetragramma riferito al loro Dio, Yahvè. Il popolo ebraico era da sempre fortemente geloso della propria tradizione e aveva cercato ad ogni costo di preservarla da influenze esterne. Ma le varie vicissitudini storiche (dall’esilio babilonese alle continue ingerenze da parte di potenze straniere) resero inevitabile un certo livello di commistione con le culture confinanti. All’epoca di Cristo, la Giudea pullulava di sette iniziatiche, correnti apocalittiche e personaggi di dubbia levatura che si auto-proclamavano messia. Uno questi era Simon Mago, samaritano dai presunti poteri magici che rivaleggiava con gli Apostoli negli anni successivi alla morte di Gesú. Famoso per aver tentato di comprare da San Pietro il potere dello Spirito Santo (da qui il termine simonìa), fu in seguito additato dai Padri della Chiesa come l’arcieretico fondatore dello gnosticismo.

Lo gnosticismo fu un fenomeno religioso assai complesso e dalle mille sfaccettature. Diversi studiosi hanno tentato, con scarso successo, di darne una definizione complessiva. Secondo Hans Jonas (1958) “il vero centro della religione gnostica” è il principio divino dell’uomo: “Per gli gnostici l’esistenza di un dio Uomo precosmico esprimeva uno dei maggiori segreti della loro conoscenza ed alcune sette si spingevano al punto da chiamare Uomo la stessa divinità suprema”. In generale possiamo dire che gli gnostici si ritenevano esseri di origine divina prigionieri di un mondo infame. Il loro disprezzo nei confronti del mondo si traduceva spesso in un ribaltamento del giudizio nei confronti di Dio, per cui il Creatore diventava un demiurgo malvagio e i malvagi al contrario diventavano oggetti di culto (vedi il culto del serpente nella setta degli Ofiti, o il culto di Caino in quella dei Cainiti).

Parallelamente al fiorire delle eresie gnostiche, nel vicino oriente e in Egitto ci fu una rinascita delle antiche dottrine misteriche. Dal I al III secolo d.C. fu redatta un collezione di scritti, il cosiddetto Corpus Hermeticum, la cui paternità venne attribuita al divino Ermete Trismegisto (“Ermete il tre volte grandissimo”). Tema centrale dei testi ermetici è il rapporto tra l’uomo e un Dio totalmente trascendente, la cui essenza può però essere colta attraverso la gnosi, un processo di illuminazione sovrarazionale che conduce all’estasi e al ritorno dell’anima alla sua origine divina e indifferenziata.

Medioevo
Particolare dal Giardino delle Delizie — Bosch (ca. 1485)

Dopo l’anno mille, l’Europa cristiana vide una nuova esplosione di fenomeni gnostici tramite i contatti col mondo musulmano ed ebraico in Spagna e in Palestina (vedi Crociate). Il più famoso di questi fu il catarismo, che rinnegava l’autorità della gerarchia ecclesiastica e insisteva sulla possibilità di conoscere Dio direttamente grazie all’estasi mistica. I Catari riprendevano inoltre la vecchia cosmologia dualistica di ispirazione zoroastriana e manichea, che proclamava l’esistenza di due principi divini contrapposti: uno buono, il dio dell’amore, l’altro cattivo, il re del mondo o “Rex Mundi”. Preoccupato dalla diffusione di questa eresia, il Vaticano la represse nel sangue.

Sul finire del tredicesimo secolo, la concezione medievale della realtà come universo ordinato da Dio, che aveva raggiunto il culmine nella formulazione di San Tommaso, cominciò però ad incrinarsi definitivamente. Il “realismo metafisico” della filosofia scolastica, che vedeva nelle cose oggetti realmente esistenti la cui natura era stabilita da Dio, diede il passo al “nominalismo” della scuola di Occam (1288–1347), per cui le “cose” esistevano solo nella testa del soggetto che ne aveva esperienza. Il soggettivismo sensista di Occam fu alla base di tutto il successivo empirismo anglosassone, come d’altra parte il misticismo tedesco capeggiato da Meister Eckhart(1260–1328), con la sua teologia negativa e le sue influenze ermetiche e neoplatoniche, prepararono la strada alla Riforma protestante di Lutero.

Umanesimo
L’Uomo Vitruviano — Da Vinci (ca. 1492)

La corte dei Medici a Firenze fu al centro della rinascita culturale che tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo investì tutta Europa, e che formò la base di tutta la cultura occidentale moderna. Alle origini di questa, secondo Eugenio Garin (1982), vi è un intreccio di astrologia, magia ed ermetismo tramandati, attraverso le eresie medioevali, dalle antiche tradizioni esoteriche originarie dell’Oriente pre-cristiano. Un personaggio di spicco in tale contesto fu Giovanni Pico della Mirandola (1463–1494), che giovanissimo (a soli 23 anni!) propose una grandiosa sintesi filosofica universale che conferiva all’uomo nuova dignità, collocandolo in pratica al centro dell’universo.

Secondo Francis Yates (1969), l’uomo per Pico aveva dignità “in quanto mago, in quanto, cioè, operatore dotato di divino potere creativo”, e questo in base “all’eresia gnostica che l’uomo sia stato, e possa tornare ad essere grazie al suo intelletto, il riflesso della mens divina, un essere divino.” Louis Bouyer, nell’introduzione al libro di De Lubac L’alba incompiuta del Rinascimento (1977), parla di Pico come “il simbolo anticipato di una umanità che rende se stessa il centro del mondo e pretende di esserne l’unica padrona… Così, fin dall’alba del Rinascimento sarebbe stato tracciato il programma di Feuerbach: rinconquistare e attribuirsi tutti gli immaginari poteri che l’uomo da sempre ha proiettato sulla figura divina, per farli realmente suoi e insediarsi al posto di quel Dio detronizzato”.

Utopismo
Tránsito en espiral — Varo (1962)

Sempre secondo la Yates (1976), la tradizione ermetica rinascimentale è in stretto “contatto con il sorgere della scienza… Il mago del rinascimento é l’immediato predecessore dello scienziato religioso del secolo XVII.” Niccolò Copernico (1473–1573), padre della rivoluzione scientifica, fu infatti tanto influenzato da Ermete Trismegisto da citarlo sotto il suo famoso diagramma che mostra il sole al centro dell’universo. Forti influenze ermetiche mischiate ad un’attitudine scientifica possono essere riscontrate anche in Giordano Bruno (1548–1600), con la sua idea di universo infinito, e in Tommaso Campanella (1568–1639), l’eretico frate domenicano noto per l’utopia descritta ne La Città del Sole, dove una cerchia di sacerdoti ermetici governa una città mantenendo gli abitanti felici e virtuosi grazie alla loro benefica scienza magica.

Alquanto simile fu anche l’utopia proposta da Francesco Bacone (1561–1626) ne La Nuova Atlantide: qui la societá era governata da una casta di sacerdoti-scienziati, che dal loro grande collegio, chiamato la Casa di Salomone, conducevano ricerche in tutte le arti e le scienze. Bacone, la cui filosofia come ha dimostrato Paolo Rossi (1957) era fortemente intrisa di ermetismo, magia e Kabbalah rinascimentale, divenne però il capostipite del moderno metodo scientifico, e la sua Casa di Salomone ispirò direttamente la fondazione della Royal Society.

Illuminismo
Newton — Blake (1795)

Anche scienziati del calibro di Isaac Newton (1642–1726) e filosofi generalmente considerati fondatori del razionalismo moderno come René Descartes (1596–1650) non furono immuni da influenze esoteriche. Descartes era a contatto con esponenti del movimento rosacrociano, una sorta di setta di alchimisti sul modello di Paracelso. E perfino Newton, come si evince dalle sue carte personali, era profondamente implicato nell’alchimia. Newton era anche molto vicino ai circoli massonici, che in quell’epoca cominciavano ad affermarsi in Inghilterra. Uno dei fondatori della Gran Loggia d’Inghilterra ad esempio, il Venerabile Maestro John T. Desaguliers, fu grande amico di Newton e sotto la sua presidenza venne eletto a membro della Royal Society.

Fu proprio grazie alla Massoneria che gli ideali illuministici cominciarono a diffondersi sul continente. In Francia, negli ambienti massonici, nacque il progetto di un Dizionario Universale di tutte le arti e le scienze, che prese il nome di Encyclopédie. Quasi tutti i grandi enciclopedisti furono massoni, da Voltaire (1694–1778) a d’Alembert (1717–1783) a Condorcet (1743–1794). Essi esaltavano la ragione e bollavano come superstizione la fede religiosa. Il metodo scientifico era per loro l’unico valido per conoscere la realtà, non solo quella naturale ma anche quella sociale. L’intera storia umana smise quindi di essere una manifestazione della provvidenza divina e divenne piuttosto lo svolgimento inesorabile del progresso universale. Questo progresso non andava solo studiato ma facilitato ed accellerato ad opera delle stesse élites illuminate, che si ergevano così a condottrici dell’umanità sulla via della società perfetta.

Positivismo
Una cotoneria durante la prima rivoluzione industriale

La rivoluzione americana (1775–1783) e soprattutto quella francese (1789–1799) portarono non solo al rovesciamento della monarchia e all’avvento della democrazia, ma anche all’istaurazione della prima teocrazia laica rappresentata dallo Stato, realizzando di fatto il concetto di religione civile preannunciato da Rousseau. Esempi significativi a riguardo sono il culto della Ragione dei Dantonisti e il culto dell’Essere Supremo di Robespierre. La stessa massoneria ondeggiava sempre più tra vecchie posizioni deistiche e nuove tendenze che si facevano via via più esplicitamente atee e rivoluzionarie.

Questa stessa ambivalenza si ritrova in due pensatori che possono a tutti gli effetti essere considerati i “padri” della tecnocrazia: Henri de Saint-Simon (1760–1825) ed Auguste Comte (1798–1857). Il primo promuove un modello di società organizzata scientificamente, con una casta di scienziati, ingegneri e industriali in cabina di comando. Nelle sue Lettres (1802), egli immagina un Consiglio di Newton composto da uomini di scienza ed intellettuali che sostituirebbero il papato e si dedicherebbero alla creazione di un paradiso in terra. Il mondo intero sarebbe suddiviso in Consigli di Newton locali, che gestirebbero le mansioni di culto, ricerca ed istruzione presso appositi Templi di Newton. La società sarebbe suddivisa tra élite scientifica, proprietari indutriali e lavoratori dipendenti. Chiunque non obbedisca agli ordini sarebbe “trattato come un quadrupede”.

L’opera di Comte segue da vicino quella di St.Simon. Anche’egli vuole riorganizzare la società secondo il modello delle scienze positive, e anch’egli ritiene necessario dare a questo nuovo potere un’aura sacrale. Nel suo Piano (1822) scrive: “Nel sistema che si deve costituire, il potere spirituale sarà nelle mani degli uomini di scienza e il potere temporale apparterrà ai capi delle opere industriali.” Nell’ultima parte della sua vita egli arriverà a fondare una vera e propria Religione Positivista, detta anche Religione dell’Umanità, con tanto di calendario positivista e catechismo positivista. Con Comte Dio è definitivamente messo da parte, e il nuovo idolo diventa l’Umanità stessa in senso sociologico.

Socialismo
Il quarto stato — Pellizza (1901)

Secondo Eric Voegelin (1975), la visione positivista di una società totalitaria dominata da tecnocrati è rimasta come una delle grandi costanti del pensiero politico fino ad oggi: “Ancora adesso non è sufficientemente chiaro come i grandi movimenti elitari di comunismo, fascismo e nazionalsocialismo abbiano un fattore in comune che, del resto, condividono con le varianti del progressismo: l’adorazione per la scienza, per il sistema industriale e per i valori della tecnologia. Per quanto ampiamente differiscano circa le soluzioni offerte al problema dell’esistenza politica, tutti concordano sul fatto che il sistema industriale debba essere sviluppato al limite delle sue potenzialità come base del benessere delle persone. È attraverso questo fattore che tutti i moderni movimenti politici di massa possono considerarsi eredi del progressismo e del positivismo di Saint-Simon e Comte.” Partiamo dal primo:

Karl Marx(1818–1883) è generalmente considerato, assieme a Friedrich Engels (1820–1895), il fondatore del socialismo scientifico. Questo si distinguerebbe dalle versioni ancora troppo utopistiche della prima metà del secolo. Fin da giovane Marx dimostra il suo carattere titanico, esprimendo simpatia per la figura di Prometeo col quale condivide l’odio viscerale verso Dio e verso la religione. Partecipa con entusiasmo ai moti rivoluzionari francesi del 1848 ma poi, disilluso dalla prospettiva di un successo rivoluzionario in tempi brevi, proclama lo stato di “rivoluzione permanente” e si mette con tenacia a costruire le basi di un movimento operaio rivoluzionario internazionale.

Una delle critiche più comuni fatte a Marx, rivoltagli anche da tanti rivoluzionari a lui contemporanei, è quella di aver tradito i suoi ideali originari di liberazione dell’umanità per concentrarsi solo sugli aspetti organizzativi e burocratici della rivoluzione. Il risultato sarebbe evidente nell’opera dei suoi successori quali Vladimir Lenin (1870–1924), che una volta preso il potere si dimenticarono del fine ultimo del comunismo e congelarono il processo rivoluzionario al primo stadio dittatoriale. Ma le ragioni di questo risultato sono più profonde.

La domanda da porsi è: cosa intendeva Marx quando nel Capitale parlava di “vero regno della libertà”? La risposta la fornisce Engels nell’Anti-Dühring (1878): “La libertà è il riconoscimento della necessità”. Essa consiste nel conoscere le leggi della natura “e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di agire in modo pianificato verso fini determinati… La libertà quindi non è altro che la capacità di prendere decisioni basate su un sapere esperto”. Di conseguenza, “quanto più libero è il giudizio dell’uomo nei riguardi di una certa questione, tanto maggiore sarà la necessità che determina il contenuto di tale giudizio”.

In pratica Engels ci dice che tutta la nostra incertezza di giudizio era fondata su una mancanza di conoscenza. La libertà di scelta non è che il contrario della vera libertà, perchè una volta acquisita sufficiente conoscenza non rimane che un’unica possibilità razionale. La vera libertà quindi, quella data dal progresso tecnico e scientifico, ci fa dominare la natura ma ci fa perdere la libertà di scelta: per Engels e per Marx, tanto peggio per la libertà di scelta.

Totalitarismo
Hitler tiene un discorso inaugurale alla Kroll Opera House di Berlino (1939)

Da questa prospettiva, diventa evidente come i totalitarismi del ventesimo secolo siano solo il culmine di un processo lungo secoli (e forse, come vedremo, quel culmine non è stato ancora raggiunto). La natura abietta di fascismo italiano e nazionalsocialismo tedesco è cosa ben nota e non credo vi sia molto da aggiungere. Entrambi avevano un’anima razionale, il fascismo nella sua affinità col futurismo e il nazismo nel suo farsi portavoce di teorie scientifiche allora in voga quali il neodarwinismo e l’eugenetica, che esso portò fino alle estreme conseguenze in campo medico e sociale. Anche in questo caso, dietro alla facciata scientifica si nascondevano radici occulte: evidenti nel caso del fascismo i riferimenti paganeggianti all’antica Roma, meno nota ma altrettanto determinante fu l’influenza dell’occultismo nell’ascesa nazista, come dimostra il ruolo giocato dalla Thule Society, un gruppo iniziatico che ispirò Adolf Hitler (1889–1945) col mito di superiorità della razza ariana.

Infine non dobbiamo scordarci di un altro totalitarismo, più subdolo ma non per questo meno reale: il mondialismo anglo-americano. Nel suo Tragedy and Hope (1966), Carrol Quigley descrive nel dettaglio la potentissima cerchia di potere formatasi in Inghilterra sul finire del diciannovesimo secolo, e che da allora trama nell’ombra per “creare un sistema globale di controllo finanziario in mani private capace di dominare i sistemi politici di ciascun paese e del mondo nel suo insieme”.

A livello ideologico il mondialismo segue la dottrina del Fabianesimo, un socialismo annacquato di stampo anglosassone che predilige una strategia gradualistica e temporeggiatrice. Personaggi di spicco furono il matematico Bertrand Russell (1872–1970) e la teosofa occultista Annie Besant (1847–1933). Qui sotto possiamo vedere un comodo schemino che mette a confronto i diversi totalitarismi su uno spettro politico.

Transumanesimo
Il futuro post-umano

Per i transumanisti non solo le macchine si ibrideranno con l’uomo, trasformandolo in cyborg, ma eventualmente lo rimpiazzeranno del tutto, inaugurando quella che Vernor Vinge chiama l’era post-umana. In questo i transumanisti vanno a braccetto coi cosiddetti ambientalisti: perfino James Lovelock, il famoso padre di Gaia, sostiene che “la nostra supremazia… sta rapidamente arrivando alla fine.” Insomma, una volta passato il testimone alle macchine intelligenti, il Grande Spirito del Progresso Universale non avrà più bisogno di noi e ci toglierà di mezzo senza troppi complimenti. E qualora non fossimo psicologicamente pronti al grande salto, beh, rassicura Ray Kurzweil (1999), le macchine si prenderanno cura anche di quello.

Epilogo

In un saggio del 1964, lo stesso Norbert Wiener parlava delle future macchine intelligenti come “la controparte moderna del Golem del rabbino di Praga”. Mi pare pertinente, quindi, citare come conclusione un’antica versione della suddetta leggenda, come riportata da Gerschom Scholem nel suo testo sulla Kabbalah (1960):

La leggenda inizia così:

“Il profeta Geremia era solo, intento a lavorare con il Libro della Creazione”.

Allora venne una voce dal cielo che diceva: “Procurati un compagno”. Egli si recò da suo figlio Sira e insieme studiarono il libro per tre anni”. Quindi si misero a lavorare sulle lettere dell’alfabeto, secondo i principi cabalistici di combinazione, compilazione e formazione delle parole; e avvenne ad essi di creare un uomo sulla cui fronte c’erano le parole: “YHWH Elohim Emeth”. Ma nella mano di quell’uomo appena creato c’era un coltello col quale egli raschiò via l’aleph da “emeth” lasciando solo “meth”. Allora Geremia si stracciò le vesti e disse: “Perché raschi via l’aleph da emeth?”.

Aspetti importanti della creazione magica emergono da questa leggenda. La parola ebraica emeth significa “verità”. Ma se si elimina la prima lettera resta meth, che significa “morto”. Il golem portava sulla propria fronte la frase: “Dio è verità”, ma cancellando la lettera aleph essa si trasforma in: “Dio è morto”. Dopo questo fatto il golem resta là, in piedi, con in mano il coltello che ha usato per l’assassinio metaforico di Dio. Egli continua a vivere e porta sulla propria fronte il nuovo marchio.

Geremia allora si straccia le vesti, nel rituale gesto di orrore di fronte ad un atto di empietà. Domanda alla sua creatura il significato della sua azione e ottiene questa risposta: “Ti racconterò una parabola. C’era un architetto che costruì molte case, città e piazze. Nessuno riusciva a imitare la sua arte o a rivaleggiare con la sua competenza e capacità, finché non si imbatté in due persone che entrarono in confidenza con lui. Egli allora insegnò loro il segreto della sua arte, ed esse vennero a conoscere tutte le tecniche necessarie. Quando si furono impadronite del suo segreto e delle sue capacità, cominciarono ad importunarlo finché si divisero da lui e divennero architetti come lui; ma le cose per le quali egli chiedeva un tallero, esse le facevano per sei groschen. Quando la gente ebbe notizia di ciò, cessò di rendere onore all’artista e cominciò invece a rendere onore a quelle persone e ad affidare loro l’incarico quando bisognava costruire un edificio. Parimenti, Dio ti ha creato a sua immagine, somiglianza e forma. Ma ora che voi avete creato un uomo come fece Lui, sarà detto: “Non c’è altro Dio al mondo oltre a questi due!”.

Il senso della leggenda è che la riuscita creazione di un golem sarebbe il preludio alla “morte di Dio “; la hybris del creatore si rivolgerebbe quindi contro Dio stesso. L’adepto Geremia è dello stesso parere e chiede al golem in che modo si possa uscire da quella terribile situazione. Egli ottiene la formula che serve a distruggere la creatura magica e se ne serve immediatamente: “E davanti ai loro occhi quell’uomo diventò polvere e cenere”. Geremia fa la domanda giusta e, quando ottiene in risposta il comando per distruggere la propria opera, non ha esitazioni e la distrugge.

La leggenda si conclude con queste parole di Geremia: “In verità, queste cose andrebbero studiate solo con lo scopo di riconoscere la forza e l’onnipotenza del creatore di questo mondo, e non con l’intenzione di superarle”.

La morale che mi sembra di poter trarre da questa breve ma intensa storia del concetto di tecnocrazia è che siamo tutti responsabili della situazione attuale. Come scriveva Nietzsche nella Gaia scienza, siamo stati noi ad uccidere Dio! Un po’ per volta, quasi senza accorgercene, sempre pieni di buone intenzioni, abbiamo percorso la strada verso l’inferno. E ora? Che faremo ora, si chiede Nietzsche, adesso che stiamo precipitando da tutti i lati, che non esiste più un alto e un basso, che vaghiamo persi “come attraverso un infinito nulla?”

La sua risposta, ancora piena di hubris, era che “dobbiamo noi stessi diventare dèi”. La tragica fine del filosofo però, come anche tutta la storia del secolo scorso, testimonia della follia di tale proposito. Piuttosto, il passaggio storico attuale richiede all’uomo una sincera presa di coscienza delle proprie colpe e un’umile riscoperta del concetto di limite. Pentimento e conversione: questi sono gli slogan, tremendamente fuori moda, di cui abbiamo bisogno. Nel prossimo e ultimo capitolo, proveremo a vedere come metterli in pratica.

Federico Nicola Pecchini

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Illustrazione di copertina: Emiliano Ponzi

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