Le parole possono far vincere le guerre
Sono purtroppo costretto a constatare da parte di una fazione politica e di corrente di pensiero (quello “unico”, what else?) una crescente radicalizzazione che trascende il semplice confronto fra idee arrivando ad una vera e propria bullizzazione di chiunque “osi” opporsi alla narrazione che si vuole imporre spacciandola per cosa buona e giusta. In ogni settore della società, o sei allineato a questa visione del mondo o sei fuori.
Ad esempio, i progressisti americani, nella loro furia ideologica di cancellare ogni traccia del “nemico”, hanno chiesto (e, pare, ottenuto) il licenziamento del professor John Eastman, docente di Legge alla Chapman University, “reo” di essersi schierato dalla parte di Donald Trump.
Siccome i nostri sedicenti democratici evocano sempre il fascismo, ed invocano anche qui censure e licenziamenti per i non allineati, faccio notare che questo era un modus operandi tipico del Fascismo.
Il giusto modo di reagire, però, non è scendendo al loro infimo livello.
Le parole possono far vincere le guerre più che le spade: come ho già detto prima, cominciamo con il chiamare le cose con il loro nome e non accettiamo più che qualcuno o qualcosa possa essere definito “democratico” o “progressista” a prescindere, lasciando intendere che chi non si allinea sia antidemocratico o oscurantista, perché è l’esatto contrario. Nessuna violenza, né fisica né verbale, deve essere impiegata per vincere questa guerra: basta far capire ai sedicenti democratici che anche loro sono vittime di questa follia collettiva, che ha creato un mondo dove il rispetto delle minoranze significa il disprezzo della maggioranza, l’eccezione viene vista come regola, le pretese come diritti insindacabili, il male come bene, l’inclusione come accettazione riservata solo a chi ha le loro idee.
Non demonizziamo coloro che sono vittime dell’indottrinamento e dell’ideologia: per noi non esistono nemici, ma solo persone che devono avere gli strumenti per capire che anche loro possono sbagliare.
In questo momento non pensano di poter essere nel torto, ma credono dogmaticamente che un dio laico sia solo dalla loro parte dimenticando che anche qualcun altro aveva fatto praticamente lo stesso, adottando il motto “Gott mit uns” (Dio è con noi): ebbene, non era proprio così.
E se ne accorsero. Troppo tardi, purtroppo.
Illustrazione di copertina: Wayne Mills