L’eterna storia del burosauro italico
Arriviamo da un anno e mezzo di pandemia e ci siamo resi conto in questo lungo periodo, più che mai in passato, dell’importanza di avere un servizio sanitario funzionante. Così, medici e infermieri sono stati profondamente rivalutati nell’immaginario collettivo: dall’epoca delle denunce a raffica contro i medici si è rapidissimamente passati alla glorificazione, potenza del bisogno: medici e infermieri sono i nuovi eroi dei tempi moderni.
D’accordo. Ci si sarebbe aspettati quindi un cambio di passo nella modalità di accesso al corso di laurea in Medicina, quello che forma i medici di domani. E invece no: il test d’ingresso a Medicina è rimasto anche quest’anno una cosa barocca con due mani di vernice di pseudo-modernità, perfettamente nel nostro stile neo-borbonico. Basta scorrere le domande del test, in un caso pure sgrammaticata, per rendersene conto, per non parlare del fatto che un meccanismo del genere non prevede alcun sondaggio, anche grossolano, della motivazione a fare il medico: non basta essere studiosi e reggere lo stress di un’ora e mezzo di test dopo ore di attesa, per diventare dei bravi medici e il rischio è quello di allevare medici sempre più nerd che bravi, pienamente purtroppo all’insegna della moderna medicina “high tech, low touch”.
Sarebbe di gran lunga preferibile un sistema come quello francese con accesso aperto a medicina e test di sbarramento alla fine del primo anno di corso, come in fondo accadeva in Italia prima dell’introduzione del famigerato numero chiuso: durante il primo anno era lo studente stesso a rendersi meglio conto della propria reale motivazione a sostenere un percorso così lungo e difficile, dopo aver dovuto affrontare l’urto dei primi esami che all’epoca potevano essere considerati una sorta di test motivazionale.
Ma tornando al nostro test di quest’anno, la cosa più incredibile è che sulle sessanta domande del test ve ne sono quattro sbagliate, e ovviamente non è la prima volta. Da un lato abbiamo quindi 60.000 studenti che si sono presentati alla selezione per i circa 14.000 posti disponibili, dopo settimane di studio intenso iniziato subito dopo la maturità e per alcuni iniziato molto prima, già durante l’ultimo anno di superiori, o prima ancora per chi ha riprovato il test per la seconda o terza volta; dall’altro lato, singolare premio a tanta abnegazione, abbiamo uno dei consueti mostruosi labirinti burocratico-amministrativi italiani che coinvolge il Ministero dell’Università e della Ricerca (non più il Miur dunque, essendosi scorporata l’Istruzione, ma il Mur, acronimo a nostro avviso semanticamente assai più adatto a rappresentarne una certa vocazione a una muta ostinazione), il consorzio Cineca – una sorta di dea Kālī che incrocia ben 98 enti pubblici – nonché una serie di aziende di consulenza, che non è in grado in un anno di comporre sessanta domande giuste.
Questo apparato palesemente disfunzionante e pure ignorante sarebbe quello destinato a valutare i nostri futuri medici. La ministra Maria Cristina Messa, a capo di questo dicastero – bizantino non certo per sua responsabilità ma per antica propria vocazione – ha infine dovuto prendere atto di questo increscioso episodio e ha dichiarato tra una risatina imbarazzata e l’altra a Radio Capital di voler incontrare le commissioni che preparano il test al fine di “riuscire a dare qualcosa di meno debole il prossimo anno”: a parte il fatto che ci si sarebbe aspettati un comunicato ufficiale del ministero (quanto ci mettono a verificare le domande che già poche ore dopo il test, una settimana fa, erano evidentemente errate?), dire che si vorrà “dare qualcosa di meno debole il prossimo anno” è al tempo stesso tristemente imbarazzante e tristemente vero: per lo meno a livello inconscio la ministra deve rendersi ben conto che il massimo che si potrà fare in futuro è qualcosa, appunto, di meno debole, quindi comunque sempre debole. E’ certo che da una ministra medico ci saremmo aspettati toni decisamente più duri e una presa di posizione istituzionale.
In tutto questo non ci risulta peraltro che alcun Ordine dei Medici, compresa la federazione nazionale degli ordini, cioè la FNOMCeO, né alcun Rettore o Direttore di scuole di medicina abbiano ancora fatto pubblicamente commenti critici a questo riguardo, nonostante si stia parlando dei futuri medici italiani e quindi del futuro sanitario degli italiani stessi. Evidentemente paga o appaga di più parlare del Green Pass ecc. ecc., come nella recente polemica che ha visto intervenire il Rettore dell’Università del Piemonte Orientale contro le dichiarazioni del proprio Prof. Alessandro Barbero.
E analogamente, per passare al livello politico, paga assai di più elettoralmente la sarabanda carnacialesca dei mille bonus proposti in quest’ultimo anno (tanto che verrebbe da variare il noto detto in bonus et circenses), che non investire seriamente nell’Università e nella Ricerca: se solo una parte del fiume di denaro destinato al bonus ristrutturazioni, giusto per estrarne uno qualunque dal mazzo, fosse destinata a questo, sarebbe un segnale incoraggiante: abbiamo disperatamente bisogno di giovani italiani preparati e motivati, non certo di verandine e di cappotti termici.
Illustrazione di copertina: Max Loeffler