Libri in libertà,  Società

Libri in libertà: “Bianco”

Se c’è qualcosa con cui Bret Easton Ellis se l’è sempre presa, in tutti i suoi libri, è l’ipocrisia, questo grande lubrificante che permette alla società di funzionare. Ma se per piú di trent’anni l’ha fatto utilizzando gli strumenti del romanzo, oggi, per la prima volta con questo libro, Ellis l’affronta nell’unico modo possibile: mettendosi a nudo direttamente. Tra autobiografia e spietata critica sociale, Bianco è la piú tagliente, urticante, spiazzante radiografia del presente che possiate leggere in giro.

«A un certo punto nel corso degli ultimissimi anni – e non saprei indicare con esattezza quando – un vago eppure quasi opprimente e irrazionale fastidio ha preso a straziarmi fino a una decina di volte al giorno. Questo fastidio riguardava cose all’apparenza cosí secondarie, cosí lontane dai miei consueti interessi, che ero sorpreso dallo sforzo che dovevo fare per liberarmi dal disgusto e dalla frustrazione provocati dalla stupidità altrui: adulti, semplici conoscenti ed estranei che sui social condividevano pareri e giudizi avventati, stupide preoccupazioni, sempre con l’incrollabile certezza di avere ragione».

Da oltre trent’anni l’uscita di un libro di Bret Easton Ellis è considerato un evento e Bianco non fa eccezione. Anche questa volta il protagonista è proprio lui, l’ex ragazzo prodigio di Meno di zero, il celebrato autore di American Psycho, l’ultimo grande cantore del postmodernismo con Lunar Park. Sintesi perfetta di autobiografia e satira sociale, Bianco è una critica tanto affilata quanto spassosa di alcune delle piaghe che affliggono il nuovo secolo: l’ipocrisia elevata a galateo, il moralismo che sostituisce il giudizio estetico, la paura di esprimere un’opinione perché si finirebbe impallinati dai «giustizieri» dei social. E se quelle di Ellis non fossero solo provocazioni (o il cahier de doléances di un «maschio bianco» inconsapevole dei suoi privilegi), ma un invito a essere piú sinceri, piú autentici, a pensare con la propria testa senza preoccuparsi costantemente dell’opinione degli altri? Ellis non si accontenta di interpretazioni superficiali solo perché politically correct: Bianco è un’indagine senza sconti nel rimosso dello spirito del tempo. E dai giorni di Meno di zero nessuno sa farlo meglio di lui.

“Ma questa è un’epoca in cui ciascuno viene giudicato così aspramente attraverso la lente delle politiche dell’identità che se ti opponi al minaccioso gruppone dell’ “ideologia progressista”, la quale proclama l’inclusione universale tranne per coloro che osano porre una qualche domanda, in un modo o nell’altro sei fottuto. Tutti devono essere uguali, e avere le stesse reazioni di fronte a qualunque opera d’arte, movimento o idea, e uno si rifiuta di unirsi al coro di approvazione verrà accusato di essere un razzista o un misogino”

“Gay dichiarato, nato in California, cresciuto professionalmente a New York, tipicamente liberal, di sinistra, ha scritto la più potente critica al politicamente corretto che io abbia mai letto negli ultimi anni. In un mix di ricordi personali, di film indipendenti che nessuno di noi ha mai visto, con riferimenti tutti americani, Bianco ci racconta l’incredibile ascesa di una certa superiorità morale che la cultura liberal si è autoassegnata. E noi che credevamo all’egemonia gramsciana: tutte balle. E tutto nasce con le primarie che hanno visto l’affermazione di Trump, e poi la sua vittoria alle presidenziali. Un evento che il mainstream culturale americano non poteva accettare. ‘ecco come si può definire la nostra cultura – scrive Ellis – : la crescente incapacità di accettare punti di vista difformi dal “moralmente superiore” status quo’. Ellis dissacra la correttezza assurda per cui non si possono tollerare barzellette sui gay, non si può dire che le registe donne siano una minoranza o che uno non vale uno, nel giudicare il pasto in un ristorante. Siamo in una cultura dei like, dell’inclusività, della correttezza del linguaggio, che è diventata una gabbia. Abbiamo ucciso quell’intuizione del Boss, di Springsteen, per cui ciò che vale è l’arte non l’artista. Siamo vittime dei “social justice warrors”, dei guerrieri della giustizia sociale, che si sentono investiti da un’incessante opera di resistenza, non si sa bene a che cosa.(1)

“Il fatto che non si possa sentire una battuta o vedere una certa immagine (si tratti di un quadro o anche solo di un tweet) e che ogni cosa possa essere connotata come razzista o sessista […] è un nuovo tipo di mania, una psicosi che la nostra cultura ha incoraggiato”

“Ellis si sofferma, per esempio, sul mondo del cinema e le ragioni ideologiche e politicamente corrette che in certi casi sembrano aver avuto un peso ben maggiore di quelle puramente estetiche nella scelta di premiare un film, un regista: perché donna, perché gay, perché parte di una qualche minoranza, perché politico appunto. «Guardate l’opera d’arte, non l’artista», (Bruce Springsteen, citato da Ellis), ma sembra sempre più difficile scindere l’opera dal suo esecutore e, di conseguenza, giudicare la produzione artistica e non farsi influenzare dalla mano che l’ha creata. Il quesito in effetti resta: è giusto giudicare l’arte svincolata dall’artista? È una riflessione che si fa scomoda quando le scelte private dell’artista si scontrano con la nostra morale” (2)

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Autore

Bret Easton Ellis è nato a Los Angeles nel 1964. A ventuno anni pubblica il suo primo romanzo, Meno di zero, da cui verrà tratto un film con Robert Downey Jr. e che impone il suo autore come uno dei piú importanti della sua generazione. Seguiranno Le regole dell’attrazione, American Psycho, la raccolta di racconti Acqua dal sole, Glamorama, Lunar Park, Imperial Bedrooms e Bianco. In Italia tutti i suoi libri sono pubblicati da Einaudi.


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