Società

L’obbedienza genera mostri

Ogni fenomeno insegna qualcosa e forse di questi anni pandemici si parlerà in futuro come di una seconda ‘spagnola’, per coincidenza sopraggiunta un secolo esatto dopo la prima. Vi sarà chi ne trarrà sostanza per argomentare intorno alla vulnerabilità dell’uomo, alla sua presunzione di onnipotenza facilmente sconfitta dai vettori microscopici della Natura indomabile. Ma vi sarà anche chi non troverà lecito alcun accostamento tra ciò che accadde alla fine di una guerra mondiale e quel che invece sta avvenendo alle soglie di un’altra che sarebbe ancora più devastante.

Se non fosse così facile ottenere l’obbedienza del popolo, la storia sarebbe stata sicuramente molto diversa da quella che conosciamo. Si obbedisce ovviamente per timore delle rappresaglie che in varia misura il potere può attuare attraverso i suoi apparati, ma nella maggior parte dei casi lo si fa perché persuasi dagli argomenti che calano dall’alto come verità inconfutabili. Non è detto che tale adesione sia genuina, che derivi cioè dalla fiducia che si nutre verso l’autorità ed i personaggi che la incarnano. A volte capita di sposare la narrazione ufficiale perché è la strada più comoda, che consente di sottrarsi sia alla punizione che all’idea di essere codardi.

Sicuramente la maggior parte dei tedeschi non credeva nelle deliranti teorie razziali prima dell’avvento del nazismo e non ci credeva nemmeno dopo la sua caduta, ma per dodici anni moltissimi di loro le hanno approvate meccanicamente, evitando da una parte i rischi enormi dell’aperta opposizione e dall’altra lo stress di una perdurante rassegnazione. Come in una sorta di collettiva sindrome di Stoccolma, molti eliminano ogni rancore nei confronti dei propri aguzzini e addirittura sposano le loro ragioni, perché l’alternativa sarebbe affrontarli oppure vivere il senso di colpa di non osare farlo. Per fortuna non tutti sono vittime di tale inconsapevole condizione, ma è grazie ad essa che di volta in volta si son potuti bruciare vivi gli eretici, perseguitare le minoranze o arrestare gli oppositori. E’ per la medesima ragione che portare il bimbo a sgambettare ai giardinetti per pochi minuti durante il confinamento significava essere oggetto della maledizione collettiva che pioveva dai balconi dei dannati. E ancora, è sempre per questo se anche di fronte a dati che ormai sbugiardano tutti i punti della costruzione pandemica, molti continuano a recitare preci ridicole come quella in cui il preteso ‘vaccino’ protegge per sempre, poi per dodici mesi, per nove, per sei, per quattro, ma solo stando alla larga da chi non l’ha fatto.

Certo in tutto questo il controllo dell’informazione è decisivo, cosa già evidente fin dai tempi della radio e che rimane valida anche al moltiplicarsi di canali alternativi per l’accesso alle notizie. A parte i pur numerosi episodi di censura operata dai controllori delle reti sociali, non è mai venuta meno la possibilità di ascoltare voci fuori dal coro. Il controllo dei maggiori veicoli mediatici non è perciò sufficiente a spiegare quanto abbiamo vissuto. La versione ufficiale è stata ripetuta in ogni trasmissione e su ogni giornale, ancora occupa stabilmente le prime schermate di ogni motore di ricerca e viene recitata come praeambula fidei da ogni personaggio che appare in tv e spera di tornarci, ma chi voleva saperne di più o ha nutrito il sospetto che dietro a tutto ciò si nascondesse qualcosa di indicibile, attraverso le voci della dissidenza capiva bene di essere in numerosa compagnia. Tutte le limitazioni delle basilari libertà personali, le misure assurde e cervellotiche, i ricatti ed i trattamenti sanitari resi di fatto obbligatori di fronte alla minaccia di perdere il lavoro o non poterlo nemmeno più cercare, nonché la trasformazione delle nostre istituzioni politiche in cicisbei dei poteri finanziari, sono stati possibili non solo per via del bombardamento mediatico ma anche perché in assenza di una resistenza organizzata, di un qualsivoglia soggetto politico o sindacale impegnato a tutelare i disobbedienti, ciascuno si trova solo di fronte al Moloch e se le sue convinzioni non sono adeguatamente salde può anche reagire in modi che tirano in ballo più la psicologia che la logica.

Ora la narrazione pandemica è in rapida e grottesca evoluzione e vi sono chiari indizi del fatto che entro pochi mesi la gestione terroristica potrebbe essere abbandonata in favore di un approccio che altri paesi conoscono già da tempo. A ciò concorre il fatto che tutta la saga della lotta al virus si è basata sulle promesse intorno ad un farmaco la cui inefficacia e tossicità sono ormai evidenti, su dati e cifre la cui attendibilità è sempre più sospetta e ciò già si intravede attraverso le crepe dell’apparato mediatico e le diserzioni nella falange dei medici di corte. In parallelo verrà il circo dello scaricabarile, delle sconfessioni e delle smentite, il tentativo di recuperare la credibilità perduta o venduta. Questo melodramma sta finendo ma non per la ribellione di chi ha dovuto sorbirselo e ciò lascia immaginare che farà scuola per opere successive. Perchè intanto attraverso lo strumento che portiamo in tasca e che nel tempo ci si sforza di rendere sempre più indispensabile, abbiamo dato al potere la facoltà di controllare tra le altre cose la nostra situazione sanitaria e ciò favorisce il rischio di ulteriori pesanti incursioni nella gestione delle nostre vite, mentre la realtà si appropria di scenari che negli anni passati appartenevano alla distopia.

Intanto, attraverso il collaborazionismo ormai tradizionale dei maggiori sindacati e nell’assenza ormai conclamata di un parlamento degno di tal nome, l’esecutivo ha potuto governare per decreto, rendendo illegali le manifestazioni ed i raduni all’aperto o al chiuso e lasciando che l’impotenza si sfogasse più o meno rabbiosamente sui social, dove tra l’altro il potere può controllare quel che si scrive e chi lo scrive, casomai un domani gli dovesse servire.

Intanto si è chiarito che nessuna categoria, dai medici agli avvocati, dagli intellettuali ai docenti, dai magistrati ai giornalisti etc, ha mai collegialmente imbastito una qualche forma di resistenza concreta ma nemmeno ha osato porre in discussione la dogmatica di regime, mentre nessuna di esse si è sottratta alla vigliacca persecuzione di ogni dissenziente voce interna.

Intanto sembra evidente, ma con un doveroso inchino verso i tantissimi che nonostante il clima non si piegano nell’accettazione di questi ed altri oltraggi alla civiltà, che un popolo che ha accettato tutto ciò sia anche bello pronto per la perdita dei residui diritti. Quel che stiamo vivendo non è la dittatura, ma l’approdo ad una fase in cui è possibile instaurarla senza difficoltà, liberando quindi il ceto dominante dalla seccatura di doverlo fare.

Anna Pulizzi

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ilsimplicissimus / Illustrazione di copertina: Andrea Ucini

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