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Mascherina: la Cancel Culture della Scuola

Non può che suscitare la nostra indignazione la fotografia che ha immortalato Mario Draghi e Luca Zaia senza mascherina in mezzo a un centinaio di bambini mascherati con la bandierina dell’Italia in mano.È uno scatto che sintetizza alla perfezione l’apoteosi di un potere che, ormai, si mostra in tutta la sua sfacciata arroganza.

Il fatto che ciò sia avvenuto in una scuola – la Dante Alighieri di Sommacampagna, vicino a Verona –, con tanto di pubblicazione ufficiale sul sito della Farnesina, trasmette chiaro il messaggio che, ora, le regole non valgono per tutti ed è bene che gli alunni imparino in fretta che i diritti innati sono divenuti una lotteria di privilegi, concessioni o soprusi. Incluso il diritto ad avere una faccia. Sorteggio sempre sfortunato per gli studenti italiani (si riforniscano di cornetti rossi per il prossimo anno), è andata decisamente meglio ai frequentatori di concerti, stadi e discoteche.

Il premier smascherato ci fa capire che “il re è nudo“. Nemmeno Draghi – che pure sarebbe in età a rischio – crede alla direttiva da lui stesso firmata che impone ancora l’obbligo di mascherina a scuola. E fa bene, dato che non esiste in tutta la letteratura scientifica nemmeno uno studio in grado di certificarne l’efficacia. Il Ministero della Salute “non è in possesso della specifica documentazione“, ha ammesso, con nota ufficiale, Giovanni Rezza, direttore generale della prevenzione sanitaria.

Ciononostante, nessun passo indietro da parte del Governo per ritirare un decreto anticostituzionale, antiscientifico, antipedagogico e, palesemente, discriminatorio nei confronti dei più giovani.

Ma la cosa grave è che nessuno urla “il re è nudo!“, come fa il bambino della fiaba, tutti continuano ad assecondare la narrativa ufficiale credendo a qualcosa che non esiste, come il vestito dell’imperatore, per convenienza, per conformismo, per sudditanza.

“No, io mò la mascherina non la metto!“ ha detto alla maestra, la scorsa settimana, a Pescara, un bambino di nove anni: è stato allontanato dalla scuola, senza che nessuno si indignasse, specialmente chi, per professione o per vocazione, dovrebbe avere a cuore la salute delle anime, oltre a quella dei corpi.

Anzi, Paolo Biasci, presidente del sindacato dei pediatri di famiglia, ha affermato che il sacrificio di tenere la mascherina può essere tollerato dato che l’anno scolastico è quasi finito. Se Rosa Parks avesse seguito questa logica, sarebbe rimasta seduta al suo posto, quello riservato ai neri, perché tanto il bus era quasi arrivato a destinazione, anziché dare inizio alla rivolta contro l’apartheid in Alabama.

Non potendo difendere il valore medico della mascherina, il ministro dell’istruzione Bianchi ne esalta il “valore educativo”.  Per questa stessa idea di educazione, tutt’oggi, i docenti non vaccinati non possono tornare a insegnare Dante ai propri allievi (per loro continua la persecuzione dei sani).

Noam Chomski ha scritto che studiare non significa memorizzare quanti morti ci sono stati durante la II guerra mondiale, ma imparare a riconoscere i segni della storia quando si ripresentano. Segni che Primo Levi individuava nell’ “abdicazione dell’intelletto e del senso morale davanti al principio d’autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera”, allertando sempre sul pericolo della rinascita delle discriminazioni: “basta che in una società attecchisca l’idea che qualcuno possa avere più diritti rispetto a un’altro”. Non importa con quale giustificazione perché il bene di oggi può essere il male di domani.

Ma se i politici continuano pateticamente a sostenere la farsa dell’emergenza perenne per legittimare restrizioni alle libertà inviolabili, come è possibile che migliaia di insegnanti abbiano dimenticato, in meno di tre anni, i valori fondamentali della nostra cultura? La scuola è il luogo in cui si tramanda, da una generazione all’altra, la memoria e l’identità di un popolo, è il baluardo che custodisce i nostri principi più profondi, quelli che hanno fatto fiorire le arti e le scienze, il pensiero critico e l’etica, il diritto e la giustizia…

“Alzi la mano chi è vaccinato!” è la domanda che molti maestri hanno fatto in classe, iniziando a tracciare una linea di distinzione fra buoni e cattivi studenti.  Il D.L. di gennaio ridefinisce i confini in cui i minorenni possono muoversi all’interno della comunità, espellendo chi è senza green pass ai margini dei luoghi del sapere. I ragazzini sopra i 12 anni non possono partecipare alle gite didattiche, entrare in biblioteca, in libreria, in un museo, fare sport e, persino, salire su un autobus per andare a scuola, con grave lesione del diritto costituzionale allo studio.

A nulla valgono le denunce (timide) di Amnesty International e la Carta dei diritti universali dell’infanzia. Bersagliato da un girone di protocolli e burocrazie sempre più illogici, il mondo dell’istruzione tace, incapace di spezzare la sottomissione al conformismo autoritario e omologante. Così, decreto dopo decreto, la sanità occupa capillarmente gli spazi della scuola, sottraendoli alla cultura e all’educazione.

Un metro di distanza fra i banchi, due metri dalla cattedra, zero contatti…Il Governo detta le misure di una geometria che riquadra il disordine della vita in un rigido schema, epurandone le aree esperienziali e relazionali, così importanti per lo sviluppo psicofisico.

La scuola diviene luogo di disciplinamento del corpo: insomma, una carneficina.

Corpi costantemente controllati, testati e distribuiti tra i positivi e i negativi, i sintomatici e gli asintomatici, i presenti e gli assenti.

Corpi distanziati, burocratizzati, uniformati, spogliati della spontaneità irruente e vitalistica dell’infanzia. Corpi mortificati, sterilizzati, denudati dello spessore millenario della gestualità, degli abbracci e dei sorrisi.

Corpi collegati da remoto, alienati dietro uno schermo. Assenti in aula ma presenti in DAD, secondo uno sdoppiamento del corpo in cui il virtuale è più vero del reale, una roba che farebbe impallidire persino Derrida.

Se la società è presa in cura dai nuovi dispositivi biopolitici del potere, la scuola non può che essere il luogo dell’accanimento terapeutico perché è l’infanzia stessa a dover essere neutralizzata in quanto anomalia capace di sfuggire alla prevedibilità dell’algoritmo. Il corpo dei bambini, infatti, vive ancora in una reciprocità selvaggia, diretta, simbolica con la natura.

La mascherina è la metafora di quei dispositivi di controllo e coercizione che la società esercita nei confronti di ogni alterità che sfugge alle omologazioni ideologiche del sistema.

Essa insegna che, nella nuova società medicalizzata, si è perennemente malati, a meno che non si dimostri il contrario (con un tampone) e si è infinitamente contagiosi, a meno che non si dimostri il contrario (con la mascherina). La mascherina è il marchio che una società ormai infetta imprime sul corpo sano dei bambini, una società in cui la paura della morte ha ridotto la vita ad una mortificazione continua, soprattutto, laddove essa pulsa nel suo slancio più vitale.

La mascherina è la prima protesi innestata sul nostro corpo, quella a cui seguiranno tutte le altre. È un esercizio di riscrittura del corpo: coprire la bocca per cancellare il viso, ciò che di più potente sintetizza l’unicità e la dignità di ogni essere umano.  

È la “cancel culture“ applicata direttamente al nostro volto. Come  la “cancel culture“ manipola la storia impacchettando i monumenti perché ogni riscrittura necessita preventivamente di un azzeramento dei segni precedenti, così la mascherina è la riga nera sulla bocca per ripulire il corpo da ogni tratto somatico distintivo, una tabula rasa di ciò che è umano e naturale per inaugurare la nuova era del transumano.

La mascherina disegna una nuova fisionomica che dissolve l’identità irriducibile di ciascuno nella somiglianza indifferenziata di tutti. Appiattisce gli spessori simbolici del volto, le sue valenze antropologiche, dietro la geometria astratta di un rettangolo, emblema della riduzione dell’uomo a una formula stereotipata.

La nostra tradizione è abitata da una molteplicità di visi: Madonne, bambinelli, Santi,  peccatori… E, ovunque, cupole di putti che ci fissano dall’alto senza che ce ne sia uno uguale all’altro! Il Cristianesimo ha ritagliato l’unico ambito monoteistico in cui l’arte ritrae il viso perché Verbo si è fatto Carne e l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.

In Occidente coprire il viso è un’iconoclastia, un oltraggio, uno sfregio alla dignità dell’essere umano. La mascherina è la “cancel culture“ della nostra civiltà.

Abbiamo bisogno di insegnanti che smettano di ossequiare il Ministero della Sanità e tornino ad ascoltare Seneca, Dante, Leopardi. Abbiamo bisogno di maestri che non barattino la sicurezza del conformismo con il rischio del pensiero critico. Abbiamo bisogno di docenti che si riapproprino della scuola e rifiutino di trasformarla in un’ospedalizzazione infinita.

Sonia Milone

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Illustrazione di copertina: Zabou/Getty Images

Un commento

  • daniela

    …avete chiesto info sull’efficacia delle mascherine al Ministero e vi ha risposto che non può dimostrarlo? potrei avere copia di questo scambio? io sono stata sospesa come ricercatrice universitaria per non avere imposto questo strumento di cancel culture

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