Società

Medicalizzazione coatta

L’uomo contemporaneo sta divenendo il riassunto di un codice a barre. Le sue azioni sono automatizzate, digitalizzate e monitorate. Il corpo viene così adattato alle esigenze di un controllo coatto che rende quello stesso corpo una formattazione di sé stesso. Dei replicanti diremo, ma molto diversi da quelli del celebre film di Ridley Scott tratto dal capolavoro di Philip K. Dick «Ma gli androidi sognano pecore elettriche?»

Le creature di quell’immaginifico mondo, ormai così reale, erano quantomeno ribelli; degli evasi che si opposero alla loro condizione di vita limitata, poiché volevano ‘più vita’. Gli androidi contemporanei invece sono proprio come pecore elettriche per proporre un gioco di parole ripreso dal titolo del capolavoro fantascientifico appena citato. Individui asserviti alla logica dell’uomo macchina, senza più coscienza. Diremmo che sono diventati il riassunto di una sigla meccanografica scomposta, un po’ fatti di carne, un po’ avvelenati da sostanze sintetiche. Gran parte di questo scempio che cerca di annullare le leggi della natura e di Dio è da imputarsi alla Nuova Tecno-medicina infarcita di scientocrazia. La visione organicista della biomedicina contemporanea ha sezionato le parti del corpo fino a cancellare la visione d’insieme, quella che il vero medico-guaritore aveva. Comunemente detta olistica.

L’essere umano si è quindi ammalato, è affetto da una malattia dell’anima. Una patologia autoimmune che non gli permette di accedere all’essenza, alla qualità. D’altronde viviamo nel Regno della quantità, per riprendere René Guénon ed i segni dei tempi lo dimostrano. L’uomo contemporaneo si è quindi affidato senza remore al processo di disumanizzazione che lo vede protagonista. Una cecità molto simile a quella che Josè Saramago racconta nel suo “Saggio sulla cecità” (titolo originale). Testo simbolico se letto alla luce dei nostri giorni, in cui improvvisamente, la popolazione di una città mai nominata, diverrà cieca a causa di una epidemia…

E ciechi paiono non essere solo i cittadini medicalizzati, ma quegli stessi medici che li medicalizzano sotto l’egida di un dovere che affoga la dignità dell’uomo e la dignità professionale per asservirsi a leggi del mercato. Le case farmaceutiche stanno governando il mondo. Una nuova politica si è affacciata prepotentemente ed agguanta con la sua mano mortifera il globo che la popola. Eppure il medico era una figura in odore di nobiltà d’animo. Era colui che onorava la vita e ne onorava la salute; termine che deriva dal latino salus – utis, salvezza, da salvus, salvo. Ridare la salute è re-suscitare, ri-nascere, ri-destare. Qualcosa che aveva del miracoloso.

Eppure le masse sono ormai presuntuosamente portate ad eleggere la scienza medica a divinità. Ma il suo è un dio del ‘riduzionismo organicista’ e non trova la soluzione saggia e definitiva ai mali del corpo e della mente. L’individuo è quindi sempre più un numero da marchiare, estratto dal contesto psicosociale e ridotto a oggetto. Deriva impensabile fino solo a 50 anni fa, tempo in cui il medico di famiglia, soprattutto nei contesti rurali ma anche nelle liquide ed esplose metropoli attuali, conosceva l’intera storia del paziente e quella della sua famiglia, nonché il contesto sociale in cui quell’individuo si muoveva. Erano tempi in cui il corpo veniva ancora toccato e l’acuto occhio del medico-guaritore riconosceva, come aiutato da una sapienza insita e misteriosa, le cause dell’afflizione. Andare dal medico equivaleva, anche se in modo non palese, ad un rito di sanificazione in cui spesse volte il paziente aveva solo bisogno di parlare e trovare conforto in uno spazio atto a sancire una protezione terapeutica quindi già una sanazione. Non stiamo parlando di sparuti gruppi umani dispersi in un orizzonte selvaggio, bensì del nostro recinto culturale, del medico condotto. Si istaurava con lui un rapporto di unicità che metteva da parte le malattie del gregge poiché ogni infermità aveva una sua particolare anamnesi e riguardava solo il paziente preso in esame. Esame diagnostico che spesso era già risolutivo ad uno sguardo dello stesso medico. Un professionista che teneva fede al giuramento di Ippocrate. La cura era allora qualcosa di solenne e l’alleanza tra medico e paziente era alla base della risoluzione della patologia stessa.

Qualcuno potrebbe dire che forse si moriva di più, ma si moriva meglio!  La dignità ed il rispetto della persona erano salve e nel trapasso si era accompagnati dai propri cari – cosa che è stata negata negli ultimi due anni -. Certamente la tecnologia medica ha fatto enormi progressi, direbbe qualcun altro, ma non è questo il punto.

La medicalizzazione coatta va a braccetto con la robotomizzazione dell’essere umano. Questo è il centro della discussione. La globalizzazione medica è dramma del nostro tempo ed un virus che agguanta tutto il genere umano ne è la prova. Un colpo di genio, non c’è dubbio. Eppure l’essere umano non è un androide cui modificare la struttura, e chi rideva dei possibili microchip sottocutanei ora dovrebbe chiedersi cosa si stia facendo inoculare.  Ma l’affezione da cecità dilaga e gli orizzonti visionari narrati da certa fantascienza sono già qui. Ma l’uomo è fatto di carne ed ossa, anima, viscere e cuore…siamo ancora umani. Non solo, siamo stati creati da Dio e generati da una madre, in modo perfetto e lo abbiamo scordato poiché è la malattia dell’anima e non quella del corpo, ad oggi, la patologia senza cura.

Valentina Ferranti

Idee&Azione

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