Musical
Giallo, giallo rinforzato, arancione, rosso, ecc. ecc., la sarabanda dei numeri, delle curve, e poi virologi, epidemiologi, fisici, esperti di tutti i colori e per tutti i colori, il festival della qualunque, andiamo meglio, andiamo peggio, forse che sì, forse che no, e poi i vaccini, a cui manca oramai davvero solo quello “della casa”. Per non parlare della “scienza”, sbandierata a destra e manca. In tutto questo, forse dal 26 di aprile saremo gialli e apriranno stadi e cinema, teatri e ristoranti. L’ora dell’intervallo si avvicina. E noi? Non possiamo che essere grati e tremebondi, ma… ce lo saremo meritato? Torneranno ad impennarsi i casi? Ecc. ecc. Per non parlare delle schermaglie di bottega e di corrente, viva Renzi, abbasso Renzi, viva Conte, abbasso Conte che “quando c’era lui” andava tutto molto meglio e poi era pure belloccio, e dàgli a Speranza e “difendiamo Roberto”.
Fermiamoci un attimo.
In questo gran carnevale offensivo, che se uno si lamenta subito gli si scodellano in faccia i morti, come se prima non si morisse e questa bella novità della morte se la siano inventata il covid e i suoi paradossali sacerdoti: i negazionisti, in tutta questa triste rapsodia in nero, un nero striato di colori semaforici, dov’è finita la gente comune?
La retorica della politica e, in Italia, pure della chiesa, non se ne occupa mentre sbandiera a voce alta di farlo. E non ci sono “cantori” dell’uomo comune, l’uomo della strada, se non i cantori fastidiosi e lautamente retribuiti che in Scanzi e Tosa hanno i loro più nobili – si fa per dire – rappresentanti.
E così, quanto ci manca Enzo Jannacci. Naturalmente per non parlare degli altri, a partire da Giorgio Gaber. Quanto ci manca il Jannacci che dava voce sul serio agli ultimi, con quell’ironia disincantata e bonariamente infantile che degli ultimi è prerogativa, ironia priva dei fastidiosi squilli di tromba della retorica politica, buoni per un comizio online, un saluto ispirato alla bandiera e un piccolo rinfresco prima di tornare a parlare, tra intimi, di business e di dané; il Jannacci degli operai e delle fabbriche, del Giambellino e della Bovisa, del maglione sudato color blu marin, della voglia di pasta col pane che riempia magari un bidet, di “illuminismo e pastiglie al mattino a digiuno che io… mentre una vita rincorre ma a stento una Sisal”, tra il tornio e piccoli drammi quotidiani con la voglia di crepare “magari soltanto col gas”; un popolo con nascosto in tasca il sogno di vincere la Sisal e di esplodere in uno stralunato musical, venendo giù tra gli applausi per una prosaicisissima scala mobile. Peccato.
Peccato che gli Jannacci e i Gaber non ci siano più, sostituiti dagli influencer e dagli opinion maker paraculi e voltagabbana.
Non ci rimane che ascoltare questa straordinaria canzone di Enzo Jannacci, “Musical”, per ricordarci chi siamo stati e chi siamo sotterraneamente ancora…