Niente sarà più come prima? Un corno!
Adesso ne ho le balle piene. Ma davvero. E non so se a stufarmi di più siano coloro i quali non fanno altro che minacciarci l’imminenza di un futuro distopico ancora peggiore del presente inquietante oppure quanti credono che vi sia differenza sostanziale – per un virus – fra il tenere la mascherina aderente da soli mentre guidano in macchina o abbassarla per fumare o bere al bar con gli amici. Idioti non pensanti che eseguono automatismi scemi pensati per chi non pensa, segue alla lettera indicazioni contraddittorie e si lascia condurre docilmente – e senza opporre alcuna resistenza – sulla strada dell’impazzimento.
Viviamo una realtà ergodica, non lineare. Ma la gente ama lasciarsi guidare anche dove non capisce e si fa spaventare da proclami senza senso alcuno. Il mondo si è ripreso da guerre ed epidemie ben peggiori di una sindemia che viene spacciata per pandemia (nonostante più si vada avanti e meno i conti tornino, e più le incoerenze appaiano evidenti), ma mai si erano sommati due elementi devastanti come oggi: un pensiero unico massmediatico e politico che non ammette neppure il beneficio del dubbio (che viene fatto passare per eresia) e una popolazione così acritica, impressionabile e manipolabile, che rifugge dall’idea della morte e preferisce sedersi ad attenderla piuttosto che combatterla vivendo.
Come cantava 43 anni fa Roberto Vecchioni in ‘Samarcanda’, riprendendo l’antica leggenda citata da John O’Hara (“Appointment in Samarra”), la morte sa già sempre dove e quando ghermirci, inutile cercare di sfuggirle, tanto le si finirà sempre e comunque in braccio, ma ancor più inutile sarebbe tentare di sopprimere il desiderio di continuare a vivere. Il servo della leggenda, diventato un soldato nella trasposizione musicale, continua a fuggire per non rinunciare alla sua vita: è l’istinto di sopravvivenza, il trionfo di quella naturale aspirazione all’eternità insita in ogni uomo che oggi qualcuno vorrebbe negarci. Sì perchè in quel ritornello, “Corri cavallo, corri di là, ho cantato insieme a te tutta la notte, corri come il vento che ci arriverà”, c’è tutta la fuga disperata di un uomo.
Perchè se è vero che la Morte lo aspetterà a Samarcanda comunque, per il soldato sarà inutile tentare di fuggire. Eppure continuerà a farlo per non rinunciare alla sua vita. Molti anni dopo in un altro brano Roberto Vecchioni canterà: “ma non lo senti che è più forte la vita della morte?”. Una sorta di riflessione ritardata. In realtà il prologo vero della canzone “Samarcanda” non erano i versi “Ridere ridere ridere ancora…”, ma nella versione originale c’è un altro prologo recitato dalle coriste Naimy Hackett e Leona Laviscount, nel quale è descritta l’atmosfera nella quale si sviluppa l’intera storia.
“C’era una grande festa nella capitale perchè la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise. Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione. Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All’alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi”.
Ora, immaginate la fine di questo disastro che da un anno ci rende la vita impossibile, uccide individui e attività, impoverisce il Paese e ci toglie diritti fondamentali spacciando le proibizioni liberticide per ‘eccessi di tutela’. Anche allòra ci sarà, quando tutto sarà finito, il virologo o il politicante di turno che spargerà dubbi e seminerà panico. Riprendendo il mantra che da mesi ci viene recitato ogni giorno: “non sarà più nulla come prima”. Lo ha dichiarato anche il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli pochi giorni fa. E lo ha ribadito ‘da opinionista’ Adriano Sofri. E Daniele Mencarelli su ‘Avvenire’. E altri ancora.
Quel ‘niente sarà come prima’ ognuno lo declina come gli pare, ma rimane così inquietante. Ma mai frase fu più abusata. E solo gli ignoranti e i senza memoria si lasciano condizionare da un “Niente sarà più come prima” che almeno dal 2001, l’anno in cui l’attentato islamista alle torri gemelle ridusse notevolmente per un certo periodo di tempo i fussi internazionali delle persone, viene ripescata a ogni minimo inciampo della storia o della cronaca. Anche se questa volta, sovraccaricando senza alcuna trasparenza gli effetti delle morti e degli errori, si cerca di effettuare un vero e proprio reset delle coscienze.
Il mantra “Niente sarà più come prima”, abbinato al terrorismo sanitario, alla follia liberticida, all’eutanasia economica e al distanziamento sociale, sta ottenendo adesso risultati insperati. Ma PERCHÈ niente sarà più come prima se noi saremo capaci di essere ancora gli stessi? Dove sta scritto? E allora non fatevi inghiottire dal giustizialismo contro chi ama la vita e che vede in ogni boccata di ossigeno (e senza violare regole, ma solo inseguendo la normalità) il trionfo di chissà quale incoscienza da demonizzare oppure da criminalizzare. Anche sotto le bombe si continuava a vivere. Renzo cercò Lucia fra la peste, aggirandosi nel Lazzaretto senza la mascherina.
Perchè mai nulla dovrebbe essere come prima? Non fatevi condizionare, ma usate la testa e accettate la sfida del dubbio. Fuggite dal dogma sanitario accettato acriticamente. Tanto la morte ci aspetterà comunque nella nostra personale Samarcanda, prima o poi. E allora sfuggite le paure irragionevoli, non perdete la voglia di sorridere e abbracciare, restate vivi e montate in groppa alla vita e galoppate più che potete, finchè potrete. “Corri cavallo, corri di là, ho cantato insieme a te tutta la notte, corri come il vento che ci arriverà…”, assecondate tutta la voglia di fuga disperata di chi desidera non rinunciare alla sua vita.
Non è vero che nulla sarà più come prima, ma tutto sarà migliore di prima se non cederete alla paura immotivata, se non rinuncerete a vivere per paura di morire. Una cosa è sicura: tutti si morirà. Agitati o immobili, comunque si morirà. Allora tanto vale agitarsi e vivere. E non farsi rubare i desideri e il cervello da chi ha interesse a trasformare l’umanità in una massa indistinta e indistinguibile di automi. Ripensate o leggete Samuel Beckett. Leggete ‘Aspettando Godot’.
E chiedetevi cosa mai valga l’esistenza di Estragon e Vladimir, che non si muovono, ma nemmeno muoiono. Guardateli; Vladimir ed Estragon; continuare a non andare avanti in un sorta di catarsi, fermi lì ad aspettare per sempre, senza una decisione, mentre noi possiamo – a differenza loro – lasciare il loro cupo deserto e tornare alla nostra vita. Loro non si muovono, ma noi sì, possiamo, con nostro sollievo. Perchè aspettare Godot?
Perchè restare in eterna attesa di qualcosa: del momento giusto, o ancora che succeda qualcosa, che la situazione cambi? E così rimandare continuamente, arrivando alla fine giusto per renderci conto che non abbiamo davvero vissuto appieno, ma abbiamo sempre aspettato? No, basta. Altro che aspettare Godot. Semmai, aspettando, io preferisco vivere e fare in modo che tutto torni ad essere come prima o meglio. Perchè piuttosto che aspettare immobile e farmi travolgere dagli eventi, io farò di tutto per continuare a vivere. Tanto dovrò morire anche io. Perciò, piuttosto, per me nulla cambierà. E, intanto, aspettando godo.
Illustrazione di copertina: Davide Bonazzi