Non basta sopravvivere
Dopo un anno e mezzo ormai abbondante durante il quale siamo stati tempestati da un fuoco ininterrotto di artiglieria mass-mediale sulle catastrofi incombenti sul genere umano e sul pianeta, dal covid al disastro ecologico, pronti ad accogliere la carica liberatrice del 7° cavalleggeri rappresentato dalla Scienza, conviene provare a ricordarci che i temi sui quali litighiamo e ci spaventiamo, ci spaventiamo e litighiamo, per ogni dove, hanno alle spalle un dibattito dimenticato di almeno mezzo secolo, che ha visto coinvolti quegli intellettuali autentici e sofferti che sono attualmente spazzati via dalla carica devastatrice dei virologi e degli influencer.
Vale la pena di leggere, ad esempio, quanto scriveva nel 1973 Rodolfo Quadrelli, scomodo intellettuale milanese, a proposito del rapporto tra ecologia e cultura, tema di importanza cruciale e che non pare particolarmente frequentato nei salotti televisivi o sulle bacheche dei social, generalmente per vistoso difetto del secondo termine della questione.
Ovviamente meriterebbe leggere per esteso lo scritto di Quadrelli, molto affine al punto di vista di Pier Paolo Pasolini, cui Quadrelli dedicò un toccante necrologio all’indomani del suo assassinio; ma dobbiamo limitarci a un assaggio. Si tratta, come detto, di parole scritte ormai cinquant’anni fa, ma che suonano di un’attualità disarmante, specie nel riferimento alla strategia di spaventare le persone minacciandole di una catastrofe incombente, all’interno di un orizzonte culturale abbandonato e desolante.
«(…) La cultura di un popolo è quel complesso di valori, vissuti come verità, che appaiono dai riti, dai gesti, dai costumi, e che si esprime nell’oralità oltreché nella scrittura. Abituati come siamo a ritenere cultura l’istruzione, soprattutto quella scolastica, giudichiamo ignoranti quei popoli che l’abbiano scarsa o nulla, e crediamo di beneficiarli riempiendone i territori di scuole, dopo averne distrutto le tradizioni e mutilato il paesaggio, nonché dilapidato le materie prime. Questo atteggiamento colonialistico, che ha celebrato la sua messa nera negli ultimi tre secoli, e talora difeso dalle migliori intenzioni, ricade ora su di noi: siamo diventati i colonizzatori di noi stessi. Dopo aver distrutto la cultura altrui, stiamo distruggendo la nostra, e ci tocca a nostra volta sopportare quella che è forse la maggior sofferenza di un uomo: il franamento culturale.
Di solito l’attenzione alle modificazioni sulla natura, e conseguentemente sull’uomo, è definita ecologia, intorno alla quale si sta oggi combattendo una battaglia le cui proporzioni sembrano sfuggire a parecchi; ma bisogna dire che l’ecologia è nulla, assolutamente nulla, se non è in rapporto alla cultura (…). Ciò valga di meditazione e di monito a certi spiriti semplici, che in questo momento si affannano per ridurre l’ecologia entro la sfera delle scienze naturali, terrorizzati come sono che qualcuno voglia derubarli del loro piccolo mestiere.
L’ecologia senza cultura è nulla: infatti se ecologia è la definizione dei modi e dei mezzi di sopravvivenza, cultura è definizione dei fini per i quali vale la pena di vivere.
L’allarme gettato sulle risorse che vengono meno e che per giunta vengono inquinate, presume che la famiglia umana voglia a ogni costo sopravvivere, e suppone che basti spaventarla per garantirla dal precipizio. L’esperienza insegna invece il contrario: l’istinto di conservazione, cui ora si fa appello, è l’ultimo a venir meno nell’uomo, e quando resta da solo, finito tutto il resto, non basta a trattenere in vita. Lo dimostra il suicida, al quale tale istinto non viene mai meno, neppure all’estremo; ma è tutto il resto che è venuto meno. La cultura è precisamente tutto il resto, cioè lo scopo del vivere.
Nulla ci assicura, anzi tutto dimostra il contrario, che l’umanità non sia percorsa da un potente istinto di morte, se è giunta a questo traguardo, prevedibile, prevedibilissimo non solo dieci, ma cento anni fa, e anche più.
Prima di spaventarla, offrendole dei mezzi di sopravvivenza, occorre convincerla, offrendole dei fini di vita (…).»
Rodolfo Quadrelli “Il paese umiliato”, Rusconi 1973
Illustrazione di copertina: Jekaterina Budrytė