Non la festa, ma la guerra
CHIUSURE AD AGOSTO
Non c’è proprio nulla da festeggiare. Le voci provenienti dai funzionari regionali – categoria che ho scoperto essere a conoscenza anticipata di aperture e chiusure – fino a qualche giorno fa enunciavano una chiusura generalizzata intorno alla fine di settembre. A quanto pare, questa volta si è forse trattato di previsioni inesatte giacché le prime chiusure arriveranno già in agosto.
Una montatura emergenziale a cui, ancora una volta, una popolazione di pavidi, egoisti e vigliacchi si assoggetterà senza obiezioni: l’estate scorsa fu la puttanata degli asintomatici, stavolta la Variante Delta. Con quest’ultima che colpisce anche i vaccinati ma del cui diffondersi, in disprezzo alla logica più elementare, verranno accusati i non vaccinati.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE NON SALVERA’ L’ITALIA
A questo punto – visto che le norme del distanziamento sociale sono quasi scomparse in America e che potrebbero esserlo a breve anche in Inghilterra malgrado l’aumento dei contagi – sperare che il contesto internazionale “ci liberi” non avrebbe alcun senso. Ancor meno lo avrebbe il confidare nel fatto che, essendo Mario Draghi un politico organico a Washington e Wall Street, le riaperture americane possano essere importate in Italia.
Infatti, anche se alcune nazioni dotate di relativa sovranità vogliono smarcarsi dal delirio bio-securitario imposto da OMS e WEF, anche se alcuni burattinai della pandemia come Bill Gates si trovano ora in difficoltà politica e finanziaria, l’agenda sovranazionale non è cambiata nella sostanza né è venuta meno la sua vigenza.
Perché un nuovo ordine sociale ed economico possa dirsi costituito, infatti, occorre che la popolazione – se non del mondo perlomeno dei paesi-cavia occidentali come l’Italia – sia sottoposta a una sequenza ininterrotta di pandemie e di relative vaccinazioni di massa. Solo così, con un sistema di profilazione e di controllo esteso a ogni singolo cittadino, con un meccanismo di accumulazione dati che dal corpo umano passi biometricamente all’ambito telematico, la trasformazione sociale diventerà anche nuovo assetto capitalista: non più il capitalismo diffuso, caosmotico e molecolare del postfordismo, bensì un ritorno alla forma concentrata e oligopolitistica, che questa volta non sarà la grande industria manifatturiera bensì l’ambito Big Tech e della “Internet delle cose”; non più il capitalismo dell’operaio-massa basato sull’estrazione di plusvalore dalla forza-lavoro, bensì un capitalismo che si sostituisce allo Stato nell’amministrare la cosa pubblica e che necessita, ai fini della competitività internazionale, di avere un terzo della popolazione disoccupato, ridotto alla miseria e socialmente marginalizzato. Tutto questo, all’atto pratico, significa che la società del distanziamento permanente è destinata a rimanere tale – perlomeno nei succitati paesi-cavia e come da previsioni della rivista Science e della Banca Mondiale – fino al 2025.
CON LA SINISTRA, NON C’E’ RAGIONE DI DISCUTERE OLTRE
Dico subito ai miei contatti di sinistra: non abbiamo niente su cui discutere oltre. Io tornerò a essere disoccupato per la terza volta in due anni a causa delle norme di distanziamento e il mio destino personale, quindi, non può che constare di uno scontro frontale con lo Stato e coi poteri economici che promuovono suddette norme.
Questa è la mia posizione, se non vi sta bene toglietemi dai miei contatti. Posso solo aggiungere che io e voi, in questi mesi, non abbiamo mai discusso di scienza e di salute, nemmeno una sola volta. Abbiamo discusso a lungo, invece, della reciproca concezione dello Stato: la vostra concezione è volta alla fiducia sulla razionalità e neutralità tecnica del potere, la mia è volta invece alla sfiducia, all’attribuzione di interessi di classe ostili alla maggioranza della popolazione e, tutto questo, sulla base di solide ragioni storiche e politiche. Il fatto che voi chiamiate la vostra fiducia incondizionata nei confronti dello Stato “verità scientifica”, è per me null’altro che un dato imbarazzante e grottesco.
L’OPPOSIZIONE SOCIALE VERSO L’ESODO
Dobbiamo, subito, moltiplicare le iniziative di mobilitazione sociale e chiarendo un fatto: ben venga una dimensione di massa quand’essa si materializzi, ma non è più quello dei numeri il terreno di scontro.
Anche in paesi come la Germania dove sono scese in piazza contro il lockdown un milione di persone, infatti, abbiamo visto che la mobilitazione non può in alcun modo far deviare il potere dall’indirizzo intrapreso. Perché questo possa accadere, sarebbe necessaria un’insurrezione popolare con centinaia di morti: questo scenario, ebbene, non si verificherà né ora né mai; l’unico scenario di violenza possibile, al momento, è solo quello dei pogrom del popolino pavido e vigliacco ai danni dei non-vaccinati.
L’opposizione sociale, oltre alla necessità di essere costantemente coordinata nelle sue parti, necessita oggi di tre linee-guida, che sono in parte già presenti nella coscienza collettiva della sua base:
a) l’avere coscienza della trasformazione in atto della forma-stato da costituzionale ad assolutistica e, quindi, l’avere coscienza della fine della mediazione e del compromesso in ambito politico; quindi, ancora, l’avere coscienza della fine di ogni ipotesi di trasformazione “riformista” del capitalismo occidentale;
b) nel momento in cui i corpi vengono rinchiusi e il campo del conflitto sociale investe la nuda vita, la sfera separata della politica diviene insufficiente; occorre creare un modello di esistenza alternativo, una differente cultura, una nuova socialità; parlare non solo alla testa ma anche al cuore delle persone;
c) tutto questo significa avviare un contropotere costituente, una coalizione sociale che costruisca una società nella società, una rete mutualistica, culturale ed economica che dichiari e rivendichi il proprio Esodo dall’istituzione totale in cui il mondo si è trasformato.
Questo implica, altresì, il comprendere che le mobilitazioni di piazza non servono a un’illusoria prospettiva di capovolgimento futuro dei rapporti di forza, bensì servono a far conoscere, incontrare fra loro e organizzarsi reciprocamente le persone che rifiutano di vivere nella distopia del distanziamento permanente. In altre parole, le mobilitazioni non servono oggi per “fare politica” ma per creare comunità.
Questo significa mettere in piedi, da subito, un calendario condiviso di grandi e piccole iniziative sociali e culturali, da realizzare nel maggior numero possibile di Comuni italiani e anche in caso di chiusura, ovvero anche in forma clandestina o di aperta disobbedienza civile.