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Nulla di nuovo sotto il sole: un’altra finestra di Overton

Pare che nell’ultimo film della Disney Pixar, “Lightyear – La vera storia di Buzz”, sia presente una coppia di donne omosessuali che sfrutta la fecondazione artificiale per dotarsi di un figlio, così eliminando del tutto la figura paterna. Francamente non so se sia esatto, non ho visto la pellicola. Nel film è comunque presente una scena in cui le due donne si baciano (e questa sì, l’ho vista – ma su Youtube è tagliata). In essa può vedersi un bambino correre tra le braccia di una donna; la quale, preso il pargolo in braccio, viene raggiunta dalla sua compagna, ciò che dà vita al bacio tra le due.

La pellicola sarebbe stata bannata in 14 Paesi (del Medio Oriente e del Sud-Est asiatico) a causa di questa scena.

È la terza volta che ritorno sulla produzione della Disney, dopo averne parlato in due occasioni passate (la prima volta due anni fa, la seconda l’anno scorso – riporto quest’ultimo intervento al termine del presente post). In entrambe lamentavo come l’amore romantico, e in special modo quello di tipo eterosessuale, sia oramai del tutto scomparso da molti anni dalle produzioni della casa cinematografica statunitense.

Ora, il tema è spinoso e ci si mette assai poco a divenire oggetto delle più facili accuse, sicché bisogna realmente stare attenti a ciò che si dice. Sta bene, mi prenderò i miei rischi e dirò quel che penso:

– penso che la presenza, all’interno di ogni lungometraggio disponibile in Italia, di una certa agenda politica, e in particolar modo dell’agenda politica dei democratici statunitensi, abbia decisamente strarotto i coglioni (a titolo di esempio, valga il fatto che nell’ultimo Jurassic Park è stato inserito – in maniera più che inutile, oserei dire forzatissima – un riferimento all’omosessualità di uno dei personaggi del film, ancora una volta una donna. Il riferimento è ininfluente rispetto alla trama e non contribuisce in alcun modo a dare spessore o maggiore autenticità al personaggio; in effetti, l’ultimo Jurassic Park è, in generale, un film orribile, scadente, insulso);

– penso che, più in generale, sia tutto il politicamente corretto ad aver strarotto i coglioni;

– penso che non sia affatto un sintomo di omofobia il credere che certi elementi NON debbano essere dati in pasto a dei bambini (il che vale a dire che la presenza dell’agenda dem all’interno delle opere cinematografiche è ancor più grave, quando tali prodotti sono per loro natura destinati ai più piccini). Difatti io non sono un omofobo, e sono più che sicuro che quelli che mi conoscono di persona lo sanno fin troppo bene (chiedere a loro per credere).

Ora, attenzione, perché qui gli elementi da distinguere sono due: l’omosessualità da una parte e la famiglia omosessuale dall’altra.

Quanto alla prima, è una cosa che mi interessa relativamente. Mi spiego. Credo che in linea teorica sarebbe meglio che i bambini venissero lasciati liberi di scoprire la loro eventuale omosessualità nell’arco del tempo dovuto, senza che vi sia una società che li bombarda costantemente per confonderli fin dalla più tenera età. Il che significa che un conto è bandire l’odio, l’omofobia e l’intolleranza dalla nostra società civile, altro conto è aggredire le nuove generazioni attraverso una costante campagna mediatica basata sull’ostentazione ed esibizione del tabù, nonché sulla volontà di imporre dei modelli sociali specifici che segnino il superamento del tabù medesimo. Le conseguenze di una tale forzatura non sono mai prevedibili, né in termini di confusione psicologica del piccolo (io non sono un medico né un sessuologo, non so dire se, e in che misura, la psiche di un essere vivente di età infantile sia suscettibile agli stimoli esterni, ovvero se la tendenza sessuale di un soggetto sia sempre e comunque un fatto integralmente genetico, cioè se una persona che “si scopre gay” sia sempre stata, in ogni caso e “fin dalla nascita”, gay), né, soprattutto, in termini di formazione di una ideologia politica rispetto ad argomenti complessi. E qui vengo al secondo elemento, la famiglia omosessuale.

Difatti, l’episodio del film “Lightyear” non colpisce (o perlomeno non mi interessa) per la presenza di un “bacio gay”, ciò che il bambino può osservare anche nella vita di tutti i giorni (benché i due casi siano differenti, ché un conto è assistere a un bacio gay nella vita di tutti i giorni, altro conto è osservarlo in una pellicola che suscita nel piccolo una affezione per scenari, narrazione e personaggi – ciò che incide sul suo immaginario); l’episodio del film colpisce (o perlomeno, mi interessa) perché il bacio gay è stato inserito entro un contesto che vede inquadrate due donne assieme a un piccolo tra le braccia di una delle due. In altre parole, il bambino osserva, cristallina, la fotografia di una famiglia omosessuale costituita da due donne e una prole: questa, questa è la cosa che mi importa realmente di commentare, e non già il bacio gay. A fronte di tale scenario l’adulto si ritroverà a spiegare allo spettatore bambino non soltanto che ogni persona ha la propria tendenza sessuale ed è libera di amare chi vuole (il che è sacrosanto, ma con la precisazione che si è già fatta poco sopra in termini di eventuale “confusione” nel piccolo), ma anche che, oltre alle famiglie formate da coppie eterosessuali (con o senza prole), esistono – per l’appunto – famiglie composte da due madri, o da due padri, con prole. Il che apre le porte a tutta una serie di conseguenze e di elementi ulteriori di analisi, in primo luogo il tema dell’utero in affitto, che io osteggio con tutte le mie forze.

Se “si costringe”, se “si abitua” il piccolo all’immagine di famiglie composte da due madri, o da due padri, con prole, quel piccolo, con tutta probabilità, crescerà arrivando a credere che sia perfettamente normale (cioè, “nella norma”) che due donne o due uomini ricorrano all’utero in affitto pur di avere una prole. Il che significa che la Walt Disney Company sta facendo politica con il preciso scopo di plasmare intere generazioni su tale posizione. Tuttavia, avere figli non è – non è mai stato, né mai sarà – un diritto, e prima di mercificare le donne, i loro uteri e neonati in procinto di essere strappati alle loro madri naturali, si dovrà passare sul mio cadavere.

Credo che nei prossimi anni le attività politiche della Disney proseguiranno con ancora maggior forza, il che alimenterà delle correnti di pensiero che, per un lato, sottolineano la barbarie del patriarcato e del maschilismo, e per l’altro lato, stanno annientando la virilità, estirpando dalla nostra società l’elemento maschile, la mascolinità. Insomma, il passo è sempre assai breve: dalla denuncia (giusta) del maschilismo alla aggressione (ingiusta) verso il maschile, per un lato; dalla (giusta) difesa della libertà sessuale alla (ingiusta) propaganda per l’utero in affitto, dall’altro lato. Nihil sub sole novum: un’altra finestra di Overton.

N. B. La scena era stata tagliata dal film, per poi essere reinserita dopo le proteste della comunità lgbt.

Vi lascio col mio post precedente sulla Disney. Nel novembre del 2021 scrivevo:

«Correggetemi se sbaglio, poiché non ho visto tutti i film di cui sto per parlare e potrei dunque essere in errore: per ritrovare una traccia di amore (o quantomeno di un sentimento di affetto) di tipo eterosessuale in un lungometraggio della Disney bisogna ritornare al 2010, quando se ne è avuto un esempio – trattato peraltro in modo assai leggero, ironico, oserei dire quando il legame tra uomo e donna è stato pressoché scimmiottato – in “Rapunzel”. Dopo di questo (dal 2010 in poi) sono stati prodotti, sempre se non vado errato, ben 23 film: 9 dalla Disney e 14 dalla Disney Pixar; eppure in nessuno di essi mi pare di intravedere un omaggio al romanticismo e alle storie d’amore tra uomo e donna.

L’anno scorso espressi lo stesso tipo di osservazione in attesa dell’uscita degli ultimi film, “Soul” e “Luca”. Quest’anno dico che le cose non dovrebbero cambiare, dal momento che anche i prossimi lungometraggi Disney (“Red”, “Encanto”, “Searcher Clade”) non danno esattamente l’impressione di voler trattare d’amore romantico. In altre parole, è già da almeno due generazioni di bambini che la Disney è impegnata a promuovere il politicamente corretto a costo di rifilarci film insulsi che non fanno altro che insegnare alle più piccine quanto sia bello inseguire il successo restando zitelle».

Marco Zuccaro

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Illustrazione di copertina: Taylor Callery

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