
Patrioti per un giorno
Anche questo 25 Aprile se n’è andato e senza dubbio passerà alla storia per il paradosso di aver festeggiato la liberazione da prigionieri, per aver celebrato l’affermazione della nostra libertà attraverso l’esaltazione di uno status di quarantena da dittatura cinese.
Anche quest’anno la nostra buona dose di patriottismo e orgoglio nazionale l’abbiamo consumata, oggi possiamo ripiegare la bandiera tricolore, rimetterla in cantina per i prossimi 364 giorni e far di nuovo sventolare quella europea che tanto ci è cara. Dopotutto dovremo per un po’ fare a meno anche della nazionale di calcio, quindi non ci sarà alcun motivo di rispolverarla.
Sabato è stato il giorno in cui ognuno di noi aveva il dovere morale e civile di sentirsi Italiano, nazionalisti per un solo giorno contro un nemico che nella sua versione militare è morto e sepolto da 75 anni, ma che magicamente in tutti gli altri giorni dell’anno si reincarna proprio in chi osa parlare di sovranità nazionale, la stessa che ieri veniva ricordata con il pugno chiuso e per la quale i nostri nonni o bisnonni hanno combattuto.
“Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani” diceva Massimo d’Azeglio nel 1861, anno dell’Unità d’Italia.
Siamo un popolo strano. Un popolo che continua a confondere gli ideali con le ideologie.
Perché se gli ideali con il loro valore autentico possono davvero unire un popolo, le ideologie al contrario ne sono la loro degenerazione, l’insieme di idee e dogmi che portano spesso a rivisitazioni storiche ed esaltazioni divisive. Gli stessi partigiani erano divisi tra i moderati che seguivano gli ideali puri di libertà e gli altri, più numerosi, mossi dalla brama ideologica di sostituire il fascismo con un’altra altrettanto nefasta dittatura di matrice staliniana, un pericolo che fortunatamente abbiamo saputo scongiurare.
Ma non è questo il contesto per scomodare la storia o per puntualizzare magari sul ruolo essenziale degli alleati nella liberazione che viene spesso messo in secondo piano per far spazio alla sbandierata retorica rossa. Il punto è che non ci potrà mai essere un 25 Aprile di tutti fino a che non diventerà una giornata di ideali e non di ideologie, fino a che non si scardinerà questo monopolio politico e fazioso da hooligans dell’antifascismo, fino a che non si trasformerà in una giornata per celebrare l’orgoglio di essere italiani e non comunisti.
Ha ragione Maurizio Veneziani quando dice che la festa della Liberazione non divide tanto gli Italiani in fascisti e antifascisti, ma tra chi ritiene che il mondo ormai non si divide più in queste due categorie e chi invece ne è ancora convinto.
Provo così a immaginare il giorno della liberazione svuotato da tutti i contesti politici e mi chiedo se, una volta denudato dall’inquinamento ideologico, saremmo ancora in grado di percepire il vero messaggio di libertà che dovrebbe darci, il valore di quella conquista democratica che ancora rappresenta le nostre radici.
Sabato si celebrava quella conquista, ma soprattutto uno spaccato d’Italia fatto di fame e disperazione che noi difficilmente possiamo immaginare se non grazie al ricordo dei racconti dei nostri nonni o genitori, una generazione che ci sta lasciando senza neanche il conforto di un funerale. Se ne vanno mesti e silenziosi, come lo sono state le loro vite fatte di lavoro e sacrifici, i protagonisti del miracolo del dopoguerra, quella rinascita della cui eredità molti di noi ancora godono.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di ripartire, ma con quale spirito? Quello di Guccini che inneggia ancora dopo tre quarti di secolo alla resistenza verso l’opposizione? Oppure quello di una generazione viziata e pigra che manifesta il proprio desiderio di libertà a suon di hashtag?
Mario Percudani

