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Perchè i no-vax non potranno mai far valere il loro pensiero

Il linguaggio mediatico (e i tempi televisivi) come garanzia del trionfo pro-vax

La partita tra pro-vax e no-vax è una partita asimmetrica, che nel tempo della comunicazione di massa non potrà che veder soccombere qualunque rimostranza non sia in linea con il linguaggio mediatico.

Il linguaggio televisivo, da cui procede la cosiddetta “informazione” sul Covid e sui vaccini, è infatti perfettamente idoneo a una narrativa pro-vax, almeno quanto è del tutto insufficiente ad articolare una contronarrativa no-vax.

Laddove i tempi televisivi – ma anche largamente i tempi della rete – consentono articolazioni di pensiero di massimo 2 o 3 minuti a intervento, è in effetti del tutto evidente che qualunque approfondimento, qualsiasi articolazione di complessità, sono pregiudicate in partenza. Naturale conseguenza e ovvio effetto collaterale di tale stato di cose è che chi propone l’equazione “vaccino uguale salvezza” ha ampio agio di presentare la propria “verità” in termini di immediatezza di comprensione e di adesione, mentre chi ardisce (o ardirebbe) presentare un controcanto di problematizzazione e critica non può linguisticamente che capitolare in partenza.

Siamo di fronte a un sistema “comunicativo” che di fatto annulla alla radice il discorso dissenziente. Non solo perché lo ostracizza, lo censura o lo ignora (quando non lo mistifica, falsifica o demonizza), ma perché lo annichilisce dentro la tagliola della brevità e del linguaggio a slogan.

Chi voglia proporsi come pro-vax non ha difficoltà a mostrare il proprio credo in televisione: basta la semplice replica del mantra dominante Se non ti vaccini metti a repentaglio la tua e la salute del tuo prossimo. Chi viceversa volesse contestare la verità presunta di tale mantra dovrebbe poter disporre di almeno un’ora di tempo per sollevare le infinite e complicatissime riserve che potrebbero smontarlo pezzo per pezzo. E quest’ora di tempo semplicemente la televisione non la concede.

Ergo: chi vuole proporre una critica alla campagna vaccinale, al vaccino stesso (nelle sue varie forme) e al Green Pass deve affidarsi a modalità e tempi televisivi che di fatto NON consentono alcun tipo di elaborazione di controcanto del pensiero.

Questa in sintesi la ragione per cui, da una parte, dal versante pro-vax, la comunicazione è vincente a priori, dall’altra, quella dei cosiddetti no-vax, è a priori pregiudicata.

Certo, esistono articoli, pubblicazioni corpose, una fittissima letteratura critica – come esistono convegni, conferenze e siti di riferimento – per chiunque voglia individuare un percorso critico rispetto al cosiddetto pensiero dominante. Ma queste “riserve indiane” del dissenso sono appunto confinate al di là della comunicazione realmente efficace: ricadono per così dire nell’anonimato del criticismo elitario, marginale e in sostanza disertato.

Per cui è del tutto ovvio che almeno quattro questioni non potranno mai essere messe seriamente a confronto in televisione (a tutto discapito di qualsiasi riflessione parallela a quella del cosiddetto circuito informativo mainstream). Elenchiamole nella presunzione che possano uscire dal sortilegio dell’inavvicinabilità: 1) Se e in che misura esistono realmente strategie medico-farmaceutiche in grado di contrastare il Covid a prescindere dai vaccini (un dibattito serio in merito richiederebbe un intero pomeriggio televisivo: improponibile); 2) Se e in che misura i vaccini in circolazione possano realmente porre un argine alla persistenza del Covid (una fittissima letteratura in merito dimostra tesi che contestano tale prospettiva: ma anche per accogliere un dibattito di questo genere sarebbe necessario un improponibile pomeriggio televisivo); 3) Se e in che misura i vaccini in circolazione, lungi dallo scongiurare la riemersione del Covid e delle sue variante, ne possano essere viceversa la causa (idem: ma per dibattere di un paradosso vaccinale che di fatto potrebbe essere alla base della formazione di varianti ci vorrebbe, di nuovo, un improponibile pomeriggio televisivo); 4) In quale misura i cosiddetti “effetti avversi” potrebbero determinare, nel corso dei prossimi decenni, conseguenze cliniche devastanti sugli individui attualmente inoculatisi (tema delicatissimo, che richiederebbe interi pomeriggi televisivi per raccogliere pareri concordi e discordi di centinaia di scienziati: improponibile).

E questi sono solo quattro punti tra i molti che il linguaggio televisivo, le sue griglie temporali, i suoi limiti intrinseci, la sua vocazione al contraddittorio per slogan, non potranno mai offrire a nessun tipo di seria e responsabile trattazione. Altri potrebbero essere: 5) I limiti e i pericoli di un capitalismo invasivo (che di fatto impone regole di subordinazione agli stessi governi, e alla stampa a ridosso, per un progressivo allineamento dei popoli agli imperativi dell’alta finanza e delle multinazionali: improponibile); 6) I conflitti di interessi fra politiche di ampia portata farmaceutiche (leggi: multinazionali della farmaceutica) e politiche europee e nazionali ad esse più o meno direttamente subordinate (improponibile); 7) Le eventuali e possibili concatenazioni occulte tra progetti di ordine politico e progetti di ordine economico transnazionale: quindi la possibile ed eventuale esistenza di consorterie non istituzionali (diciamo massoniche o lobbistiche) trasversali alle politiche ufficiali degli Stati, e ad esse vincolate da verticismi non democratici (improponibile); 8) Lo smantellamento dei sillogismi abusivi (“I vaccini ci hanno salvati dal vaiolo e da altre malattie, dunque il vaccino anti-Covid ci salverà dal Covid”, “Se non metti il casco prendi la multa, se non fai il vaccino sei fuori-legge” etc.) per una articolazione più seria delle consonanze e differenze fra dimensioni del problema (tra vaccino e vaccino, tra limitazioni democratiche e limitazioni antidemocratiche e anticostituzionali etc.) e una più seria riflessione sulla realtà degli effetti illiberali prodotti dalla campagna vaccinale e dai decreti connessi (improponibile).

E si potrebbe continuare.

La conclusione è tuttavia, desolatamente, una sola: se la nostra COSCIENZA DELLA REALTA’ è veicolata in primo luogo dalla televisione, la partita tra no-vax e pro-vax è una partita truccata e con un solo vincitore. I pro-vax trionferanno sempre su tutta la linea. E questa è la ragione per cui essere oggi no-vax – al di là di qualsiasi motivazione politica, scientifica, medica, morale, giurisdizionale e via elencando – significa essere dalla parte sbagliata del linguaggio mediatico. Dove, in sintesi, l’articolazione del pensiero, semplicemente, non può essere espressa. Quindi non può essere accolta, non può essere di nessuna efficacia, la filosofia che la orienta.

Prepariamoci allora a ritenere l’esilio un fatto anche linguistico. E visto che in quello sociale ci siamo già entrati, prepariamoci ad ammettere che il defunto più illustre dell’attuale tempo in balìa del Covid è probabilmente il pensiero stesso.

Marco Alloni

Illustrazione di copertina: Stephan Schmitz

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