Politica,  Società

Piano terra (parte prima)

I ruderi della democrazia. Declino del capitalismo atlantico. Progetto progressista-ordoliberista per mantenere l’egemonia mondiale. Diversivi per spostare l’attenzione. Comunicazione tsunamica per il pensiero unico. Obbedienza popolare genuflessa per la libertà di uno spritz. Controllo individuale per una vita a punti. E altro.

Al piano terra del palazzo, entrando in ascensore, incontro un vecchio amico.

  • Hei! Ciao.
  • Ciao.
  • Come stai?
  • Bene. Tu?
  • Sono affranto…
  • In che senso?
  • Affranto. Incredulo. Sono prostrato.
  • Cosa è successo?
  • Non vedi che succede?
  • Sì. Ma che c’è?
  • Ci stanno sottraendo il mondo da sotto i piedi.
  • In che senso? Chi lo sta facendo?
  • Siamo definitivamente estromessi dalla guida del mondo.
  • Mi sembra esagerato. Mica viviamo in una monarchia o sotto un totalitarismo.
  • Ecco. Forse è questo il punto. Obesi dall’opulenza non abbiamo visto che sono le macerie a tenere in piedi la facciata della democrazia. C’è ancora chi è convinto che votare sia meglio che astenersi per la storiella che, se non voti, voti per una politica che non condividi.
  • Perché, non è così?
  • Certo che è così. Ma dentro quella verità ce n’è un’altra. Ovvero che se voti non fai altro che alimentare lo status quo indegno e venduto al mercato che tutti a parole critichiamo e denunciamo. La forza dell’astensione è direttamente proporzionale alla quantità degli astenuti.
  • Può essere.
  • Eh… può essere. Se voti, se ti allinei a quanto ci proiettano sulla facciata, non fai altro che alimentare la politica predatoria e l’ingiustizia, la modalità capitalista, la divinità del profitto e la concezione della terra infinita. Ti va bene?
  • Certo che no.
  • A parte la violenza, che mezzi abbiamo per contrastare il vergognoso standard sul quale consumiamo le nostre belle vite? Lo sai cosa c’è sotto quello standard? Chi lo regge?
  • Cosa vuoi dire?
  • C’è un mondo di poveracci, sempre più spesso, che porta sulle spalle la tua bella vita pensierata da quale macchina comperare, da quel sport far fare al tuo bambino, dall’affanno dei regali di Natale.
  • Ma come fai a cambiare le cose? È impossibile. E poi molti altri regimi sono peggio del nostro.
  • Ti sembra un buon argomento per accettare il degrado in cui viviamo? Per lasciarlo correre come se l’alternativa fosse solo peggio? Questo è quanto ci paventano – tra i tanti diversivi – per scongiurare il nostro impegno nei confronti di una società meno miserabile.
  • Sì. Ti capisco. Ma io non so proprio che fare.
  • E, come te, tutti noi non sappiamo che fare. Ma solo in un caso. Ovvero quando pensiamo a nostra misura, edonistica, egoistica. Se abbandoni il desiderio di vedere realizzato il cambiamento, hai campo aperto per lavorarci ogni giorno. Secondo quanto sai fare e dire. Anche solo attraverso una parola, buttata là tra amici.
  • Dici?
  • Certo. Ed è una pratica che, come tutte le pratiche, è allenante e allenabile. Con il tempo si fa più opportuna e pertinente. Non si compone nel dare consigli, ma nell’esprimere una posizione che sia estranea al pensiero allineato e coperto.
  • Capisco.
  • Non solo. La semplice affermazione di dissenso, senza alcuna pretesa proselitica o ideologica, è il lavoro disponibile a tutti, che il tutto e subito, l’usa e getta ci hanno sottratto dal già risicato paniere di saggezza.
  • È vero.
  • Ti ricordi i terrazzamenti dei montanari. Ognuno di loro ci ha lavorato vite intere affinché, a un certo punto, potesse vivere della propria opera. Chi mai si sarebbe messo a terrazzare se avesse avuto come movente il solo proprio interesse? Questa è l’alternativa al voto.
  • Strada lunga però.
  • Lunghissima. Ma se la tua attenzione resta preda del risultato, non avrai altra scelta dell’appiattirti su quello che altri vogliono.

“War is peace, freedom is slavery, ignorance is strength”.

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.

G. Orwell, 1984

  • Perché citi Orwell?
  • A proposito di pensiero unico e dominio delle persone, mi sembrava pertinente. Comunque, non per celebrare la sua distopia, in quanto pare non fosse sua. Orwell, come Huxley, ha romanzato quanto veniva dibattuto e precisato all’interno della Fabian society, della quale entrambi gli scrittori erano membri. Una congrega, la Fabian, il cui obiettivo era individuare le modalità per il controllo del mondo.

“Esistono società politiche molti più potenti dei partiti che siamo abituati a conoscere. Società che costituiscono una sorta di ‘stanza di compensazione’ fra la politica, gli intellettuali, i giornalisti e il mondo dell’alta finanza internazionale. Sono luoghi nei quali si progetta il futuro al riparo delle piccole beghe quotidiane di palazzo e dalle competizioni elettorali. Insomma, è lì che si modella davvero il mondo che poi le masse dovranno vivere nell’inconsapevolezza”(1).

Ma non è tutto. C’è chi si è dato da fare per vedere oltre a quanto ci mostrano. C’è un libro, si chiama Cospirators’ Hierarchy: True Story of the Committee of 300. Sulla quarta di copertina c’è scritto così: “Riuscite a immaginare un gruppo onnipotente, che non conosce confini nazionali, al di sopra delle leggi di tutti i paesi, che controlla ogni aspetto della politica, religione, commercio e industria, banche, assicurazioni, miniere, traffico di droga, industria petrolifera, un gruppo che risponde a nessuno se non ai suoi membri? Per la stragrande maggioranza di noi, un tale gruppo sembrerebbe essere al di là dei regni delle possibilità e delle capacità di una data organizzazione. Se questo è ciò in cui credi, allora sei la maggioranza. La concezione di un gruppo d’élite segreto che esercita il controllo di ogni aspetto della nostra vita è al di là della nostra comprensione. Gli americani sono inclini a dire: ‘Non può succedere qui, la nostra Costituzione lo proibisce’”.

  • Ma stai scherzando?
  • Lo so. Quello che non concepiamo non esiste.
  • Che vuoi dire?
  • Che se non siamo in grado di ammettere una verità, se una verità ci destabilizza, se non abbiamo scomparti della nostra concezione del mondo per poterla riporre secondo il nostro ordine, quella cosa non entra a far parte del nostro mondo. Per esempio, per qualcuno – molti per la verità – gli alpinisti sono degli idioti che rischiano la vita. E di questo restano convinti finché qualcosa non li porta a scalare le montagne.
  • È vero. Anche io credevo che la musica classica fosse bella. Ero cresciuto dentro quella convinzione. Eppure quando l’ascolto non ho nessun piacere.
  • Ecco. Anche se il tuo esempio è al rovescio, possiamo dire che quado ti emancipi da qualche luogo comune, arrivi a sentire te stesso, arrivi a liberarti dal conosciuto.
  • Ti seguivo, poi il “liberarti dal conosciuto” mi ha spiazzato.
  • Prendiamo la pandemia e anche la questione russo-ucraina. Se hai il necessario per non adagiarti sulla narrazione principale, automaticamente sorgono molte domande e perplessità. E così per molte, tutte, le altre questioni relazionali del mondo. Tutto quello che sta accadendo, anche se preparato da anni, mi riferisco al virus e all’attacco alla Russia, altro non è che il tentativo americano di mantenere l’egemonia sul mondo. Certo la guerra è sempre deprecabile, ma penso che anche tutti noi, una volta messi all’angolo, come si è sentita la Russia, o decidiamo di farci sopraffare o di reagire.
  • Sì. E la terra è piatta.
  • Ecco. Il mio sconforto, la mia prostrazione non si originano dagli americani, dalla Nato, dagli atlantisti. Si originano da te. Dalla moltitudine di te che non è in grado di unire i puntini del disegno, che si dimena su particolari minori.
  • E quale sarebbe il disegno? Cosa c’entra il virus?
  • Gli americani, ma è meglio dire le élite che ne comandano le scelte della politica internazionale, si sono resi conto da molto prima delle avanguardie contrarie.
  • Non è che hai preso una tangente complottista?
  • Può darsi. Intanto osserva i punti, poi sarai tu a credere o meno nel disegno.
  • Sì, mi sembri proprio complottista.
  • Ci sono segni nell’aria. Chi li vede li considera. Gli americani si sentono investiti della verità. Il triangolo divino che diffonde luce, il cosiddetto Triangolo dell’occhio onniveggente, simbolo della protezione divina, che trovi su ogni dollaro, allude alla loro missione. Si sentono il popolo di Dio. Sempre sul dollaro, l’aquila e il suo rimando al passo biblico in cui Dio elegge Israele a popolo eletto (2), il testo novus ordo seclorum, che fa riferimento alla nuova età dell’oro preannunciata da Virgilio nella IV Egloga, la stella di David a tredici punte e la bandiera a tredici strisce sono tutti emblemi pubblici dell’identificazione di sé – delle tredici originarie colonie – con il popolo d’Israele. L’insediamento dei coloni Puritani, movimento inglese del XVI-XVII secolo, nei futuri Stati uniti, secondo loro, non era che la dimostrazione della loro predestinazione divina: il successo materiale non era che la prova tangibile di una verità universale. L’edificazione della Terra promessa, il Regno di Dio sulla terra, fu all’origine della loro – dei pilgrim fathers, come furono poi nominati – trasmigrazione in Nord America. Sbarcati, si sentirono in illimitato diritto di possesso e dominio. Non si ritenevano invasori, ma portatori di progresso, verità e giustizia. È questo l’imprinting del vero americano, del vero yankee. È da là che viene la concezione della propria civiltà come quella alla quale assimilare il resto del mondo, con la cultura, i valori, l’economia, le armi.  In quest’ottica, diventa comprensibile come ogni loro azione preventiva divenga dovuta, per scongiurare un loro ipotizzato indebolimento o annientamento. Se, a tutto ciò, aggiungi il mito della frontiera, oltre la quale ci sono barbarie e inciviltà da raggiungere ed educare, molto potrebbe trovare spiegazione. In ultimo – anzi penultimo, perché l’ultimo è l’attacco Nato sotto mentite spoglie alla Russia – Trump. Uno che voleva seguire un orientamento differente è stato politicamente decapitato. Se insieme ci metti Obama (3), insignito del Premio Nobel per la Pace nonostante le guerre che è stato indotto ad accendere, chi vuole e chi può, qualche interrogativo politicamente scorretto se lo pone. Del resto, per arrivare a dire di “esportare la democrazia” – una minchiata enorme – bisogna pensare di sentirsi i padroni della verità. Diversamente, ti vergogneresti anche solo di averla pensata.
  • E perché? Non è meglio la democrazia di altri regimi?
  • Passo indietro. Non si tratta di giudicare la democrazia. Si tratta di sapere che non si può impiantare in una biografia qualunque cosa le sia estranea, qualunque cosa ne metta a repentaglio l’identità. A meno di usare la forza e la devastazione. E, come sai, si usa la forza in due casi: per difendersi, quando si è messi all’angolo e quando si è convinti di essere nel giusto. Un giusto che corrisponde in tutto e per tutto a se stesso. E chi può rinunciare alla propria sopravvivenza? Nessuno ovviamente.
  • Ma tutto questo per dire cosa?
  • Da un lato, per dire che gli americani – o chi per loro – hanno capito da molto tempo che muoversi in anticipo era necessario al fine di mantenere la forza acquisita e di far crescere il loro dominio culturale, militare, economico. Dall’altro, che quanto sta accadendo tra Russia e Ucraina non è che un nodo geopolitico arrivato al pettine.
  • Non ti seguo.
  • L’intento di accerchiamento della Russia da parte della Nato, in atto da quando la Russia aveva dimostrato che la disgregazione dell’Urss non era riuscita a ucciderla e stava riprendendo energia, era necessario per il mantenimento dell’egemonia.
  • Ma la Russia aveva intenti espansionistici?
  • No.
  • E allora perché preoccuparsene?
  • Il Piano Marshall ha legato mani, piedi e moralismo dei paesi europei che ne hanno goduto.
  • Cosa intendi?
  • Intendo dire che, fin da allora, gli americani avevano capito che aiutare gli europei avrebbe costituito una testa di ponte.
  • Testa di ponte per cosa?
  • Con un’adeguata politica, idonea a trarre vantaggio dall’atteggiamento di riconoscenza degli europei per l’aiuto militare, per averli sottratti al possibile dominio nazista (in preda alle genuflessioni avevano dimenticato Stalingrado), per aver portato denaro per la ricostruzione e i fabbisogni primari e consiglieri economici che li illuminassero sulla retta via, hanno poi ottenuto il permesso di uso dei suoli europei per installare basi militari.
  • Beh! Mi sembra intelligente visto che c’era l’Urss.
  • Certo. Molto intelligente. E strategico soprattutto.
  • Quindi sei convinto che non ci fossero mire espansionistiche?
  • Quantomeno, non si sono dimostrate. Il dopoguerra sovietico era animato da un’economia stremata. Non potevano fare granché in proposito.
  • E allora, perché dici che la logica americana era stata intelligente?
  • Perché nel 1949 riuscirono a ottenere dodici firme in calce al Patto atlantico e con esso a creare la Nato. La cui prima base europea risale proprio a quell’anno.
  • Furbi.
  • Molto. Tanto ancora oggi gran parte delle persone crede che la Nato sia stata la risposta al Patto di Varsavia, in realtà avvenuto ben sei anni dopo, nel 1955.
  • Ah!
  • Eh!
  • Forse era stato eccessivo da parte americana e forse anche invadente.
  • A dire il vero, la guerra fredda, la corsa gli armamenti, la vicenda della fornitura dei missili nucleari a Fidel Castro, insieme alla forza di alcuni partiti comunisti europei e la conseguente percezione di pericolo sovietico, gli intenti espansionistici tanto americani (Corea e Vietnam) quanto sovietici (Afghanistan) ne hanno abbondantemente legittimato l’esistenza.
  • Ma allora perché la Nato ha continuato a vivere anche dopo il crollo dell’Unione sovietica?
  • Buona domanda. Se la fanno in troppo pochi. Avevano capito che si trovavano davanti al momento giusto per lo scacco matto. Sarebbero potuti diventare i padroni del mondo più di quanto già non fossero. Nuovi mercati sarebbero stati a disposizione e, quindi, ulteriori incassi per una superiore forza economica. Tutte le rivoluzioni arabe e le guerre intentate e inventate vanno viste in quest’ottica. Dominio territoriale, politico, economico. Perfino Hollywood ha preso parte alla prima linea Nato-americana.
  • Non sei molto gentile.
  • Sì. Meglio un po’ di maleducazione per mettere in chiaro alcune cose.
  • Perché citi il dominio territoriale, culturale ed economico?
  • Dal medio oriente avevano il combustibile necessario per generare l’energia necessaria a far girare il sistema interno. Dalle guerre ottenevano anche i vantaggi economici delle ricostruzioni e della vendita delle armi. All’esportazione del modello americano e dei suoi valori liberisti ci pensavano molto Hollywood e tutta l’edulcorata tv che già predominava in Europa, ponte di un segnale orientato e captato a est.
  • Però l’islamismo c’è stato davvero.
  • Un po’ era dovuto alla loro presa di coscienza che erano ormai in ritardo rispetto al rifiuto dei lascivi valori occidentali; scoprire che quel cancro era già metastasico nelle loro culture li ha fatti reagire con brutalità. Un po’ è stato il conto della politica americana. Se al Qaeda origina dal denaro americano, l’Isis prende le mosse dalla distruzione dell’Iraq.
  • A proposito di al Qaeda. Perché non si è mai vista una foto di Osama bin Laden morto?
  • Bello. Farsi domande è meglio che credere alle versioni ufficiali. Se si dovesse scoprire che non lo è affatto, molti non si sorprenderebbero.
  • Ma perché siamo arrivati a dubitare della morte di bin Laden?
  • Le cose si tengono. Anche se fanno di tutto per mostrarcele separate.
  • Di chi parli?
  • Torniamo al punto.
  • Cioè. Mi sono perso.
  • Ecco è questo il loro miglior successo. Lasciarti sperduto, in cerca di una coperta di Linus e loro ne hanno riserve per coccolare tutti.
  • Non ti seguo.

(Fine prima parte)parte seconda

Lorenzo Merlo

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Note:

(1) Rossi Davide, La Fabian society e la pandemia. Come si arriva alla dittatura, Cesena, Macro, 2021, p.5.

(2)“Vi ho portato su ali di aquila […]. Per questo adesso voi sarete me una nazione santa”. (Es. 19:4.6)

(3) Obama: Somalia e il Pakistan. Secondo alcuni analisti è stato il presidente americano che ha tenuto in guerra gli Stati Uniti per più tempo. Trump: neppure una guerra attivata, solo ereditate. Ha dato avvio alla exit strategy dall’Afghanistan.

Illustrazione di copertina: Gerard DuBois

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