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Possono ancora chiamarsi giornalisti?

Possono ancora chiamarsi giornalisti soggetti consegnati alla funzione di delatori, propagandisti, corifei del regime? E i giornalisti dissidenti si ritrovano regolarmente censurati, infamati, irrisi nei chiacchiericci televisivi, ai pochi contrari alla narrazione unica si impedisce di parlare e li si offende.

Ancora sul manicomio Italia ormai impossibile da raccontare. Stavolta il cronista spaesato guarda al suo ambiente, quello dell’informazione, e meno che meno ci si raccapezza: sono io l’alieno o sono tutti questi? Ma possono ancora chiamarsi giornalisti soggetti che hanno abdicato al ruolo per consegnarsi alla funzione di delatori, propagandisti, corifei del regime?

I telegiornali, per dire, non si tengono più in questo continuo mistificare. Se a migliaia scendono in tutte le piazze d’Italia per protestare contro le continue vessazioni, li si sistema come segue: si prendono dieci o venti balordi neonazisti o dei centri sociali, si fanno vedere solo quelli e si dice: “C’erano anche loro”, e il messaggio è chiaro: chi non si adegua è un delinquente, un terrorista. Oppure si va a Trieste in bollore e, chirurgicamente, si sceglie la fricchettona o il fanatico novax, li si provoca ad arte e si tira la morale: avete visto, sono tutti così, sono tutti scemi.

Il cronista alieno non si orienta più: vede che giornali progressisti e anche fortemente schierati a sinistra come il New York Times e il Washington Post si preoccupano per la tenuta democratica dell’Italia, e pensa: una ragione ci sarà. Poi scorre la rassegna stampa nostrana, alla vaccinara, e non ne trova traccia. Ma quelle testate internazionali parlano di “esperimento sociale”, che è qualcosa in atto da tempo anche se rilevato da pochissimi e in colpevole ritardo. L’esperimento sta nella verifica del livello di sacrificio della popolazione quanto a diritti inalienabili, strategia palesemente ispirata dalla Cina dittatoriale. Di preoccupazioni, quante se ne vogliono.

Il direttore della Stampa, Marcello Sorgi, butta là come niente fosse la prospettiva di un governo militare per l’Italia, poi si permette di prendere in giro: “L’ho fatto apposta”. L’editorialista del Corriere Paolo Mieli va oltre, auspica la fine delle libere elezioni e l’instaurazione di una monarchia draghiana in modo da continuare lungo la tabella di marcia che ci consegna all’Unione Europea; fornisce anche consigli su come addormentare i cittadini, che potrebbero reagire con un astensionismo massiccio. Anche lui l’ha fatto apposta? Sono sempre di più quelli in fregola di regime. Sempre sul Corriere, Angelo Panebianco teorizza modi per disinnescare l’ascesa della sovranista Meloni, casomai non ci riuscissero direttamente gli elettori. Stefano Folli su Repubblica fa di meglio, scrive che l’asse Salvini-Meloni creerebbe uno squilibrio inaccettabile a Bruxelles e forse anche oltre Atlantico. “Ammetterlo è solo un atto di realismo”. Sarà realismo, ma si teorizza il sabotaggio delle logiche democratiche, dei meccanismi rappresentativi. Romano Prodi, che passa per bonaccione ed è assai apprezzato a Pechino, ha invitato Draghi ad usare la forza coi dissidenti. La smania di controllo, di Stato concentrazionario è trasversale, mette tutti in sintonia. Il giornalista di destra Filippo Rossi può scrivere su Twitter che la soluzione austriaca, lockdown per i non vaccinati, è “un po’ estrema ma ha il suo fascino”.

Affascinante la reclusione per chi dissente? Una delle tante miracolate da Berlusconi, va in televisione a dire, anzi a sbraitare, che la polizia ha fatto bene a pestare i portuali di Trieste, che l’ha fatto per il loro bene. In verità non sono solo gli scaricatori a prenderle, le forze dell’ordine infieriscono anche su studenti, manifestanti comuni, basta siano pacifici, i neofascisti violenti quelli no, quelli menano, come spiega il ministro della sicurezza Lamorgese.

Sono tanti fra i giornalisti e i commentatori quelli in fregola per l’autocrate, che lo vorrebbero al potere “per almeno 20 anni”. Come tale Marianna Aprile che si vanta di segnalare in treno tutti quelli che tengono la mascherina storta. Comportamenti infantili se non stupidi, dei quali si mena vanto. E io, cronista da 30 anni, dovrei sentire la minima consonanza con gente simile? Aveva ragione il povero Enzo Tortora, “io non ho colleghi, la parola colleghi l’ha inventata, credo, la mafia”.

Preparati da 30 anni di sudditanza europeista, che ci ha disabituato a decidere come Paese e come individui, con l’emergenza perenne abbiamo rinunciato alla libertà personale e collettiva, ci siamo assoggettati alle mascherine, ai tamponi, ai coprifuoco, ai vaccini in modo più massiccio rispetto a qualsiasi altro posto del mondo, infine abbiamo subito il greenpass che è misura unica per stoltezza e per prepotenza autoritaria. Ma per l’informazione mondana tutto questo non esiste, anzi esiste ma va bene così. I dissidenti si ritrovano regolarmente censurati, infamati, irrisi nei chiacchiericci televisivi, ai pochi giornalisti contrari alla narrazione unica si impedisce di parlare e li si offende: ma cosa vuole, parlare solo lei?

Lavorare, studiare, perfino fare acquisti è diventata fatica vana, ma il resettaggio mondiale e in particolare italiano è chiaro: sempre più a distanza, chi non saprà adeguarsi verrà lasciato indietro. E c’è qualche virologo, o quello che sia, che annuncia: io la mano non la do mai, fingo di non vederla.

Informare non si può più, è ammessa la sola propaganda. La notizia, da fonte ufficiale visto che proviene dall’Istituto Superiore di Sanità, per cui i morti da Covid sarebbero stati meno di tremila su centotrentamila è stata generalmente soffocata, non ne hanno parlato né i telegiornali né le testate governative cioè il 99%. E se qualcuno osa citarla, viene aggredito da qualche parassita sedicente democratico.

Porsi domande è considerato offensivo, obiettare inaccettabile e nemmeno adeguarsi è più sufficiente. Il conformismo è ogni giorno più diffuso, più obbligatorio, i sindacalisti o ex sindacalisti sono senza vergogna dalla parte dei manganellatori e degli esponenti del grande capitale, pretendono le fucilate e le cannonate sulla marmaglia che protesta, che non ubbidisce. Non si era mai vista una informazione così ignobile, così asservita al punto che neppure si dà la pena di nasconderlo, anzi lo rivendica come un merito di cui tenere conto, come un modo per fare carriera. Il grosso dei commentatori di regime così si esprime: spero che i novax e nogreenpass muoiano tutti di cancro, di virus, non importa, basta che muoiano, li voglio vedere ridotti a una poltiglia verde, cascare come mosche mentre mi ubriaco e mi ingozzo di popcorn. Sono gli stessi che un anno prima insultavano quanti si preoccupassero per un virus sconosciuto.

Grande enfasi è riservata alla ripresa economica lodata dal capo dello Stato, senonché è una ripresa fittizia, che non ha colmato neppure per metà il crollo dello scorso anno e che fisiologicamente era inevitabile, stante la paralisi totale del Paese nei 12 mesi precedenti. E per cosa? Per una pandemia originata di gran lunga più da carenze, ritardi omissioni, corruzioni, gestione disastrosa, che direttamente dal virus. Ma nessuno paga, al limite si osserva la soluzione gesuitica, “promoveatur ut amoveatur”. E pare già un progresso. Il capo del governo non trova opposizione, i partiti sono tutti al suo comando e l’unico, anzi l’unica che non sta dentro è così gratificata dall’alleato principe: “Un po’ va anche bene, ma non è che Giorgia Meloni può sempre rompermi i coglioni”. Il nostro conducator Draghi, che i postcomunisti sognano al potere per un nuovo Ventennio, gongola e annuncia: Il greenpass durerà fino a che sarà necessario. Cioè fino a quando vorrà lui. Ma il portuale Puzzer gli ha mandato a chiedere, per ambasciata del ministro agricolo Patuanelli, che ritiri proprio le due misure alle quali il regime non rinuncerà mai. Auguri, e che il Dio dei derelitti ci salvi.

I giornali stranieri si interrogano sulla tenuta democratica dell’Italia, ma, si direbbe, più rassegnati che stupiti. In Francia i gilet gialli possono andare avanti mesi e mesi, nelle nazioni dell’est europeo ogni governo deve andarci piano con le restrizioni temendo la reazione popolare; qui un presidio portuale si scioglie dopo 48 ore ed è già considerato un atto eroico, tipo le barricate delle cinque giornate di Milano. Forse non è neanche più il caso di preoccuparsi, forse davvero non ci resta che piangere.

Max Del Papa

Illustrazione di copertina: Sergio Ingravalle

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