Protesta in India: intervista a Karan Preet Singh
Circa un mese fa su questo blog abbiamo parlato in un nostro articolo di quello che sta accadendo in India, nell’incredibile silenzio generale dei media italiani. Una protesta che va avanti da tempo e che cresce giorno dopo giorno, tanto da essere definita il più grande sciopero della storia umana.
La coesione di un popolo mosso dalla preoccupazione e dallo spettro dell’incessante opera monopolistica e predatoria delle lobby industriali è di sicuro uno degli aspetti che colpisce maggiormente. E anche per questo motivo dovrebbe rappresentare una lezione per tutti noi, oltre ad essere un monito per il nostro futuro.
A rischio oggi c’è la sopravvivenza di centinaia di milioni di agricoltori indiani, il sistema alimentare e le tradizioni rurali, pilastri dell’economia nazionale.
Ma ancora una volta a venire a meno è stata la democrazia, un concetto che si fa sempre più indefinito in questi tempi di lockdown globalizzati.
Per capire meglio cosa sta succedendo in India abbiamo avuto il piacere di intervistare Karan Preet Singh, un giovane universitario indiano, tra i primi ad impegnarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica anche al di fuori del paese dove è nato.
INTRODUZIONE
Mi presento, mi chiamo Karan, ho 22 anni e sono un ragazzo di origine indiana. Sono venuto in Italia quando avevo un anno e ho sempre vissuto qui da allora. Attualmente sono uno studente universitario con un lavoro part-time.
Nonostante io non viva in India sono comunque fortemente legato alla cultura del mio paese d’origine e, provenendo io stesso da una famiglia di agricoltori mi sono sentito in dovere di contribuire. Non potendo recarmi in India a partecipare attivamente alla protesta per via del coronavirus, ho deciso di iniziare a pubblicare post informativi sui social in modo da poter dar voce agli agricoltori indiani anche in Italia e sensibilizzare più persone possibili. Dunque ho aperto una pagina Instagram chiamata PunjabDiKisani che significa: Agricoltura del Punjab, dato che il Punjab è anche il nome della regione da cui provengo e dove vivono attualmente i miei nonni, anche loro agricoltori.
Non posso considerarmi un attivista dato che nella mia vita non mi sono mai dedicato a produrre cambiamenti sociali, sono semplicemente un ragazzo che ha visto gli agricoltori del proprio paese d’origine in difficoltà e ha voluto far passare il loro messaggio anche in Italiano attraverso gli strumenti che avevo a disposizione, in questo caso i social.
Quali sono i principali motivi della protesta e le richieste dei manifestanti? Sono stati raggiunti dei risultati?
Il motivo principale della protesta è fondamentalmente uno solo. Ovvero l’introduzione da parte del governo indiano di 3 riforme agricole che sono completamente a favore delle grandi aziende e di conseguenza svantaggiose per gli agricoltori. Il fatto è che le grandi aziende avevano già da tempo messo l’occhio sul settore agricolo, ma avevano alcuni problemi da affrontare. Questi problemi si possono riassumere in 4 punti:
- Come sappiamo l’India è un paese diviso in diverse regioni, ciascuna di queste regioni aveva un proprio regolamento in base al quale comprava il raccolto degli agricoltori ad un prezzo minimo garantito. Gestire tutte queste regioni per le grandi società risultava essere un problema, perciò il governo indiano ha sottratto il controllo a queste regioni e ha creato un unico regolamento per tutto il paese, in modo che le grandi società possano gestire il tutto più facilmente.
- Il secondo problema riguardava l’immagazzinamento del raccolto. Le grandi società volevano immagazzinare il raccolto così da poterlo vendere in base alla richiesta del mercato e di conseguenza controllare la fornitura. Questo però non ero loro permesso grazie ad un atto parlamentare – “Essential Commodities Act” (ECA) – in quanto questo comportamento avrebbe potuto influire sul prezzo. Il governo però come soluzione ha fatto in modo che il raccolto agricolo non rientrasse più nel ECA.
- Il terzo problema invece era che per le grandi società risultava difficile capire cosa gli agricoltori avrebbero coltivato nelle loro terre e di conseguenza non potevano creare modelli di business adeguati. La soluzione del governo è stata quella di creare un sistema di agricoltura a contratto, dove le grandi società avrebbero controllato l’agricoltore dicendogli cosa coltivare e cosa non coltivare.
- Infine l’ultimo problema riguardava le controversie giudiziarie. Il governo ha fatto in modo che gli agricoltori non potessero più opporsi alle grandi società per vie legali ma solo fare reclami ad impiegati del governo senza alcun potere giudiziario.
Queste riforme hanno ovviamente generato malcontento e così gli agricoltori hanno iniziato a protestare all’interno delle proprie regioni; non venendo presi in considerazione, verso fine novembre la regione del Punjab ha dato vita al movimento “DELHI CHALO” che significa letteralmente “ANDIAMO A DELHI”. L’obiettivo era quello di portare la voce direttamente alla capitale, quindi si sono messi in marcia con trattori, camion, pullman e scorte di cibo sperando che il governo accogliesse le loro richieste.
La richiesta è una sola: revocare le riforme agricole. Sono passati più di 50 giorni e il governo ancora non ha preso nessuna decisione, continua ad offrire modifiche, ma gli agricoltori vogliono il ritiro completo delle riforme in quanto sono state introdotte senza il consenso popolare e in maniera totalmente antidemocratica. Accettare anche solo delle modifiche significherebbe non risolvere il problema alla radice.
Vuoi parlarci delle condizioni di vita degli agricoltori, le problematiche che stanno affrontando e quali sono i reali rischi per il futuro della società Indiana?
I primi giorni gli agricoltori hanno dovuto affrontare molti problemi, uno dei quali era la sistemazione per passare la notte. La maggior parte degli agricoltori ha portato dei rimorchi attaccati ai propri trattori allestiti all’interno con coperte, piumoni e altri strumenti basilari come posate e pentole per cucinare. Successivamente hanno iniziato ad arrivare donazioni da tutto il mondo che hanno permesso ad organizzazioni umanitarie come “Khalsa Aid” (che ha sede nel Regno Unito
ma opera anche in India) di allestire tendoni riscaldati, docce, bagni chimici, acqua calda ed altri beni necessari. Ovviamente, dato l’elevatissimo numero di manifestanti, non tutti hanno avuto ancora accesso a questi beni e molti di loro tuttora dormono in sella ai propri trattori, per le strade o sotto a rimorchi in mezzo al freddo.
Il freddo infatti è anche la principale causa di morte fra gli agricoltori presenti alla protesta. Ma un’altra importante causa di morte è il suicidio: in queste condizioni la salute mentale è messa a dura prova. Attualmente sono stati appesi molti cartelloni in giro per le strade con scritto che il suicidio non è una soluzione.
Ci tengo a ricordare che molti degli agricoltori presenti alla protesta sono persone anziane, addirittura fino a 90 anni, oltre a donne e bambini. Si sta facendo il possibile per far sì che ognuno abbia accesso ad un posto adeguato per passare la notte.
Si dice sia la più grande manifestazione della storia umana. Come è possibile che sia quasi invisibile per i media mainstream italiani e pensi che ci sia stata anche disinformazione? È un problema riscontrabile anche all’estero o solo in Italia?
I media nazionali indiani stanno facendo di tutto per sopprimere la protesta. La maggior parte, essendo corrotti e venduti, mostra solo ciò che le grandi società chiedono loro di mostrare. Le accuse che vengono fatte agli agricoltori sono principalmente quelle di essere antinazionalisti, terroristi o
disinformati riguardo ai reali benefici delle riforme (tutte cose non vere). Gli agricoltori, consapevoli di ciò, stanno iniziando a non rilasciare più interviste a questi canali, ad allontanare i giornalisti, ma ovviamente questo non basta in un paese corrotto come l’India.
Per quanto riguarda il silenzio nel resto del mondo, penso sia per il fatto che non si vuole motivare altri lavoratori a fare ciò che stanno facendo gli agricoltori in India. Se questa protesta venisse trasmessa sui media di tutto il mondo potrebbe avere un effetto motivazionale; ovviamente i governi non vogliono che le persone si ribellino alle oppressioni che subiscono. Comunque alcuni telegiornali in America, Inghilterra, Francia, Australia, Canada ne hanno parlato. Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha addirittura pubblicamente mandato una richiesta al governo indiano chiedendo di risolvere la faccenda al più presto e di non sopprimere una protesta che è pacifica, ma il Governo indiano ha risposto di non interferire in quanto si tratta di affari interni.
Per quanto riguarda l’Italia invece c’è proprio un silenzio totale. Non saprei dire il perché, ma a parte qualche articolo su internet, i telegiornali che io sappia non hanno neanche minimamente nominato la protesta in India.
Qual è stato il ruolo dei social media e se ci sono stati problemi di censura riguardo a quanto sta accadendo?
Alla luce della disinformazione dei media nazionali, i social media assumono sempre di più un ruolo fondamentale. Erano, e sono tuttora, il nostro unico strumento di sensibilizzazione, ma purtroppo abbiamo constatato che non sono dalla nostra parte.
Come ho spiegato in alcuni miei post sulla pagina di instagram, il fondatore della compagnia JIO e uomo più ricco dell’India Mukesh Ambani è una delle persone che trarrebbe un grande vantaggio da queste riforme agricole. JIO, la sua compagnia è una delle compagnie di telecomunicazione più grandi con centinaia di milioni di utenti. Facebook e Google all’inizio dell’anno 2020 hanno investito più di 10 miliardi di dollari in questa compagnia, di conseguenza per proteggere il loro investimento gli stanno coprendo le spalle, censurando i post su Facebook e Instagram riguardanti le proteste. Molti pagine e profili di denuncia hanno riscontrato un calo di engagement (interazione degli utenti) a seguito dell’utilizzo di certi hashtag.
E a proposito del ruolo della religione?
Il ruolo della religione è fondamentale in questa protesta. La maggioranza dei manifestati è di religione Sikh, pertanto i media hanno trovato un valido motivo per diffamare la protesta.
Mi spiego meglio: i Sikh sono una minoranza situata nella regione del Punjab e sin dai tempi dell’indipendenza dell’India (1947) sono sempre stati vittima di ingiustizie. Nel 1984 ci fu addirittura un genocidio di massa ordinato dal governo con il nome di “Blue star Operation”; sta di fatto che da quell’episodio in poi una minoranza di Sikh vuole separarsi dall’India e creare una propria nazione per ottenere così l’indipendenza. Di conseguenza il governo e i media stanno facendo leva proprio su questo aspetto, etichettando questa minoranza come antinazionalisti-terroristi e facendo credere quindi che il loro scopo sia un altro.
Ma alla protesta ci sono persone anche di molte altre regioni e non solo del Punjab. Molti non stanno riuscendo a raggiungere la capitale perché i militari e la polizia li tengono bloccati ai confini delle proprie regioni in modo da evitare che la protesta si allarghi più di quanto non lo sia già. Tutto ciò dai media non viene fatto vedere, si concentrano solo a fare un lavaggio del cervello a tutta la popolazione, anche se in verità molti ora iniziano a rendersene conto.
Un aspetto sorprendente è stato leggere che anche altre categorie si sono unite agli agricoltori. Si può dire che siano le preoccupazioni per il futuro e non le ideologie a unire e muovere questo grande ed eterogeneo numero di persone?
Solo poco fa c’è stato lo sciopero più grande della storia dell’umanità che ha coinvolto più di 250 milioni di persone. Questo è dovuto al fatto che le persone sono ben consapevoli di quanto queste riforme avranno un impatto negativo sulla loro vita, sulla loro quotidianità.
Come sappiamo è scontato il fatto che chi gestisce la fornitura è anche colui che controlla il prezzo, quindi se la fornitura del settore agricolo finirà in mano alle grandi società, queste inizieranno a controllare il prezzo sul mercato. La maggioranza della popolazione dell’India è povera, questo comportamento potrebbe avere un impatto devastante.
Un esempio banale: il prezzo delle pannocchie che viene dato agli agricoltori è di 7 rupie al Kg (che non è niente) e UNA SOLA pannocchia viene venduta nei supermercati al prezzo di 16 rupie; già questo dovrebbe essere sufficiente per capire il grande guadagno di queste corporation. La maggior parte della popolazione è consapevole di tutto ciò, questo è il motivo per cui stanno mostrando solidarietà nei confronti degli agricoltori. Sanno anche che questi agricoltori non stanno lottando solamente per loro stessi, ma lo stanno facendo per tutta la popolazione.
Purtroppo però questo messaggio non riescono a coglierlo tutti e ci sono anche persone che non supportano la protesta.
Nel nostro articolo avevamo accennato ad alcuni episodi di violenza, ma dai canali ufficiali sono spesso trapelate notizie contrastanti in merito. Sappiamo però che ci sono stati purtroppo dei morti. Puoi chiarirci questo aspetto e darci degli aggiornamenti sulla situazione?
La violenza non è mancata. Nonostante gli agricoltori stessero protestando pacificamente e fossero diretti verso la capitale senza intenzioni violente, la polizia ha fatto uso della violenza per impedire loro di raggiungere Nuova Delhi. Sono stati utilizzati gas lacrimogeni (addirittura scaduti che quindi esplodevano), sono stati usati cannoni ad acqua, manganelli, tutto ciò anche su persone anziane! Questa è la cosa che più intristisce. La violenza non era per nulla giustificata, ma addirittura usare cannoni d’acqua gelata nei mesi d’inverno su persone anziane è una cosa disumana.
Nonostante questo durante la marcia verso la capitale non ci sono stati decessi. Ci tengo però a precisare che purtroppo i morti attualmente sono più di 80 (dato aggiornato al 17/01/2021).
Per quanto riguarda l’uso della violenza durante la marcia verso la capitale, gli agricoltori non si sono opposti alla violenza, l’hanno subita e hanno continuato per la loro strada, ANZI hanno addirittura offerto cibo agli stessi militari-poliziotti che li hanno aggrediti (su internet ci sono video e foto a riguardo), questo per via della religione Sikh e il concetto del “Langar”.
Ma oltre ad essere fedeli ai principi della loro religione, sono letteralmente disposti a morire pur di salvare le loro terre ed inoltre. Secondo i principi del Sikhismo infatti, usare la violenza è una cosa sbagliatissima, ma subire la violenza e l’oppressione senza reagire e senza far valere i propri diritti è ancora più sbagliato. Pertanto SE E SOLO SE il governo ordinerà nuovamente l’utilizzo della violenza gli agricoltori (quelli appartenenti alla religione sikh) risponderanno con la stessa moneta.
In questo particolare momento storico in molti paesi del mondo le limitazioni di natura sanitaria stanno mettendo a rischio la democrazia e sospendendo la società civile. Pensi che la pandemia venga in qualche modo sfruttata per accelerare certe scelte politiche ed economiche. E credi ci sia un nesso anche nella situazione indiana?
La pandemia è sicuramente stata sfruttata. Le riforme sono state “approvate” nel bel mezzo di un lockdown, in modo che nessuno si potesse opporre.
Il governo sperava che dopo aver introdotto le riforme ci sarebbe stata un po’ di agitazione fra la popolazione, ma essendoci un lockdown nessuno avrebbe fatto nulla e pian piano l’agitazione si sarebbe placata. Non aveva preso per nulla in considerazione che gli agricoltori non se ne sarebbero rimasti nelle loro case a subire l’ingiustizia, di conseguenza una protesta di queste dimensioni non era nei piani del governo.
Inoltre il modo in cui le riforme sono passate in parlamento è stato completamente antidemocratico. Nonostante ci fosse un dissenso comune e molti presenti si siano addirittura ribellati mostrando la costituzione indiana e affermando che tutto è anticostituzionale, le leggi sono state imposte lo stesso.
Tuttora la pandemia viene usata come pretesto per diffamare gli agricoltori. Per quanto io sia consapevole della gravità della malattia e dei disagi che questa ha portato in tutto il mondo, ritengo che non dovrebbe essere utilizzata come scusa per sopprimere la protesta. Se il governo fosse veramente così preoccupato per la pandemia, darebbe ascolto agli agricoltori. I manifestanti sono perfettamente consapevoli della situazione sanitaria, ma sanno anche se ora non si fanno avanti moriranno comunque per le condizioni che saranno costretti ad affrontare a seguito di queste riforme (ricordo che nel 2019 circa 10281 agricoltori si sono suicidati a causa di debiti, vuol dire 28 agricoltori al giorno in media).
Siamo convinti che ciò che sta succedendo in India riguardi tutti noi. Pensi che sia un segnale che il mondo sta sempre di più muovendosi verso una situazione monopolistica a favore delle grandi corporation?
Sicuramente ciò che sta succedendo in India riguarda tutti noi.
Oggi ad essere stato colpito è il settore agricolo indiano, un domani potrebbe essere un qualsiasi altro settore in una qualsiasi altra parte del mondo.
Il fatto che le multinazionali stiano prendendo il controllo purtroppo è un dato di fatto, soprattutto in India dove l’attuale primo ministro ha venduto ogni servizio pubblico – come stazioni ferroviarie, linee aeree, università, scuole, ospedali – dandolo in mano a queste corporation.
Penso che se il mondo si sta muovendo appunto verso una situazione monopolistica sia anche a causa dei leader politici che fanno la loro parte dando fin troppi privilegi a queste grandi aziende.
In India i debiti delle grandi società vengono in un modo o nell’altro cancellati, mentre se un povero agricoltore indebitato chiede aiuto al governo non viene ascoltato e finisce per togliersi la vita pur di non far morire di fame la propria famiglia.
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Foto di copertina: AP / Manish Swarup