Quale normalità?
Il fermento che oggi agita e stimola la popolazione è quello di un’acuta insofferenza per la dolorosa esperienza attuale e di un diffuso anelito verso il ripristino di condizioni vivibili, rassicuranti, serene. Insomma tutti sentono e dicono di voler “tornare alla normalità”; una specie di indispensabile ancoraggio ad una stabilità emotiva e materiale. Generico anelito purtroppo, almeno se ci fermiamo a interrogare la realtà un po’ più da vicino.
Infatti quale normalità?
Una prima risposta di getto dirà: “quella prima del 2020”; ma di quale tipo? Economico? con le relative condizioni di reddito, di tenore di vita? oppure di tipo immateriale (quello di cui nessuno si accorge se non quando manca)? Vale a dire il ritorno al godimento dei diritti: di opinione, di parola, di associazione, di spostamento nello spazio, di attività politica, religiosa, culturale?
Si aggiungerà subito dopo: tutti e due, ovviamente: benessere e libertà.
Ma, ammesso che ci sia la sufficiente consapevolezza, e non è detto, quali di questi sono ancora realizzabili? Già perché a furia di bruciare i ponti e di accelerazioni il nemico ha conquistato posizioni su posizioni così da rendere ardua per noi la riconquista delle “quote” di prima.
È dunque realistico pensare di tornare alle posizioni di “prima” (anche solo se si intenda quel fragilissimo modellino di società)?
È possibile, oggi, dopo la perdita di cospicue quote di produzione e sviluppo degli ultimi due anni, pensare di parametrarsi al livello anche solo del 2019?
E con quali investimenti? e con quale banca prestatrice di ultima istanza? come fare senza una poderosa immissione di investimenti pubblici? Senza un controllo sui capitali di cui ormai solo chi è cieco o corrotto non vede l’inevitabilità?
Già solo questo comporterebbe una rivoluzione epocale, che richiederebbe energie e impegno formidabili…
Ma siamo sinceri: è nelle nostre corde?
E come potremo tornare a vivere in una società degna di questo nome senza ricreare le condizioni di fiducia e di riconosciuta autorevolezza verso le istituzioni? come ricreare il rispetto e la fiducia (che vanno meritati) verso la magistratura, le rappresentanze e le classi dirigenti?
Come ricreare quel rapporto indispensabile tra medico e paziente tanto evidentemente squalificato?
E lo stesso vale per l’istruzione e la cultura: quali insegnanti ed educatori potremo recuperare dopo il crollo di tutta la classe docente a livelli di impresentabilità?
Qui si tratta di tornare a vivere insieme mica di partecipare ad un reality televisivo!
Ma anche solo sul piano socio-relazionale come pacificare un vissuto in cui l’amico ha disprezzato, denunciato, maledetto l’amico, il collega, il parente?
Dobbiamo renderci conto che abbiamo di fronte a noi troppe macerie…
Rilanciare un’economia volutamente azzerata dalla “tabula rasa” del “grande reset” comporterà una Rivoluzione con la maiuscola. A meno che la normalità di cui ci si accontenti sia proprio quella, che oggi malediciamo, dei “diritti condizionati”, della perdita di tutto ciò che è nostro per doverlo riacquistare poi, di volta in volta, al prezzo di umilianti sottomissioni.
Come si vede abbiamo oggi molti più interrogativi che risposte…
Ma quand’anche –per un prodigio fantastico- si tornasse al 2018 (ammesso che il potere ce lo permetta) vogliamo almeno ripensare e riflettere sul punto a cui ci ha portato quell’illusorio e non equo benessere “di prima”? non siamo arrivati per caso a questo OGGI da incubo! Ma davvero pensiamo che non mancasse nulla a quelle condizioni meramente materiali?
Un grande lavoro ci aspetta.
Tutti noi dobbiamo impegnarci a tentare di immaginare e pensare una qualche risposta: anche se dovesse servire il coraggio di ammettere amare conclusioni.
Originariamente pubblicato su frontiere.me/ Illustrazione di copertina: Benedetto Cristofani