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Quando cadono le maschere

Michele Santoro, Sara Cunial e il totalitarismo conclamato.

Suggerisco la visione dell’ultima puntata del programma televisivo diMartedì, poiché ha un valore esplicativo del meccanismo ideologico-retorico con cui si sta riproducendo la narrazione pandemica.

Michele Santoro, probabilmente, è giunto a un’età in cui non si hanno più obiettivi di carriera e di posizionamento e, quindi, si esprime liberamente generando una vera e propria interferenza sull’andamento quotidiano dell’informazione.

Egli evoca il problema di come la completa omologia di vedute da parte di politica, mondo scientifico e media rappresenti una degradazione della democrazia e di come sia inconcepibile che qualsiasi punto di vista divergente venga oscurato dall’informazione.

Ebbene, la reazione degli altri giornalisti presenti in trasmissione – Floris, Sorgi e Sallusti – non consta del negare l’assenza di pluralismo bensì del ridefinire i confini di ciò che ha o non ha diritto di cittadinanza ed espressione. In breve, essi sostengono che il punto di vista politico, virologico e mediatico è oggi unico in quanto unicamente oggettivo. Le tesi che dissentono da tale punto di vista, negano tale oggettività e da ciò consegue ch’esse neghino la realtà. Ed è altrettanto evidente che tutto ciò che risulta esteriore al reale, non possa avere diritto di trattazione e tantomeno di tribuna sui canali informativi.

In fondo, il ragionamento appena esposto è riscontrabile tutti i giorni, discutendo sui social o in presenza con un interlocutore di sinistra: quest’ultimo, esprimendo massima intolleranza nei confronti del dissenso politico, non polemizza nei termini di una contrapposizione fra visioni del mondo bensì in rapporto al venir meno, nella società, d’una concezione condivisa di cosa sia “realtà”.

Quando, però, lo scontro sulla definizione di realtà si sostituisce alla dialettica politica, questa facoltà del potere di qualificare cosa sia “reale” e cosa no si declina, inevitabilmente, in esplicito totalitarismo. Quando le opinioni divergenti vengono qualificate come complottismo e fake news, quando il dissenso politico viene bollato come non-realtà, quando i contestatori sono etichettati come latori di disturbo psichico, siamo già pienamente all’interno di quella medesima visione tecnico-securitaria dei rapporti sociali che ha a suo tempo generato i campi di concentramento e le camere a gas. Il fatto che oggi la base di qualificazione del dissenso non sia razziale ma esclusivamente politica, non rende la prospettiva meno totalitaria e oppressiva.

Se Floris, Sallusti e Sorgi lasciano cadere la maschera ammettendo che il sistema informativo censura deliberatamente il dissenso politico, un disvelamento anche più pesante è avvenuto due giorni fa in Parlamento. Il fatto che a una parlamentare dissenziente – Sara Cunial – sia stata tolta la parola solo ed esclusivamente sulla base delle opinioni che stava esprimendo, è qualcosa che sul piano del valore simbolico e giuridico risulta paragonabile ai progressivi disvelamenti con cui i minacciosi interventi alla Camera di Mussolini, negli anni ’20, esautoravano l’istituzione parlamentare. Di fronte a tutto questo, per chi oggi è parte dell’opposizione sociale si pongono due problemi ed entrambi constano d’una presa d’atto di come il contesto in cui ci muoviamo abbia cessato di essere democratico.

Come già stiamo osservando in occasione delle mobilitazioni di piazza nei territori, si è azzerata ogni possibilità dialettica e d’interlocuzione con le istituzioni e i partiti a livello locale.

Come vediamo attraverso l’oscuramento o la criminalizzazione sui giornali delle succitate mobilitazioni, si è azzerata ogni possibilità di rapporto con le testate mainstream e con i giornalisti nel loro insieme.

Chi spera che questa lacerazione possa ricomporsi e che si possa, in un prossimo futuro, tornare a discutere con rappresentanti del ceto politico oppure essere intervistati serenamente dai media ufficiali, coltiva un’illusione.

Dalla morsa totalitaria, sarà possibile uscire solo generando un contropotere costituente, ovvero prendendo atto della dimensione di separatezza e formando propri canali informativi, propria rappresentanza istituzionale.

Non si tratta di invocare l’Esodo: noi che non ci riconosciamo nella narrazione pandemica dominante, siamo già diventati un popolo che marcia nel deserto alla ricerca di un’altra terra.

Riccardo Paccosi

Illustrazione di copertina: Pawel Kuczynski

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