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Questi sono i miei sedici anni

Lettera di una studentessa ai tempi del coronavirus.

Frequento il liceo classico, la scuola che dovrebbe insegnare a imparare dal passato per poter costruire il proprio futuro, che dovrebbe educare alla logica, al pensiero critico, ai valori della politica, al mettersi in gioco. Ogni settimana traduco gesta di ogni sorta di eroi, cerco di comprendere il misterioso linguaggio dei filosofi e studio nomi, una storia fatta di nomi di persone rivoluzionarie, straordinarie, che hanno posto le basi della nostra intera società. Mi colpisce la loro forza. Prima della pandemia non ci avevo mai riflettuto, ma queste persone sono state davvero forti.

Perché? Hanno avuto l’ardire di fermarsi a riflettere. Riordinare le idee, decidere il da farsi, capire che non si poteva continuare a vivere come si era sempre fatto. Le persone muoiono, nascono, le mentalità cambiano. Non può rimanere sempre tutto uguale. Forse i loro contemporanei li hanno presi per pazzi o per presuntuosi, ma loro non hanno mollato. Dopo aver riflettuto e aver capito che quel mondo a loro non andava più bene, credo che si siano lamentati prima con i loro familiari, poi con gli amici, infine scendendo per le strade. Se noi li studiamo, però, non è perché si sono lamentati e basta, no. Loro, a differenza degli altri, hanno anche agito. Forse è proprio nel momento in cui una persona riflette e ha il coraggio di agire per quello in cui crede che diventa forte.

Ecco, io in questa pandemia ho pensato tanto a questo e mi sono accorta che, pur avendo a disposizione tutto il tempo del mondo, le persone non si fermano a pensare e se lo fanno si lamentano e basta. Sembra che qualcuno abbia già deciso il nostro destino e noi non dobbiamo far altro che abbandonarci ad esso, come una nave che va alla deriva e si avvicina pericolosamente agli scogli, per intenderci. Ma… è davvero giusto tutto questo? Che cosa è davvero importante? É questo che mi chiedo quando ci viene imposto di continuare ad andare avanti sempre, come in questo momento. Non vedo i miei amici da quasi due mesi, eppure devo continuare a studiare come se nulla fosse, perché bisogna. Esattamente come bisogna stare chiusi nelle proprie case perché c’è un nuovo virus che circola, o bisogna potersi giustificare per ogni spostamento, anche minimo.
Credo che in questo momento la nostra libertà stia urlando, calpestata da una serie di bisogna e dal rifiuto di fermarsi a pensare se questo sia davvero giusto. Dal rifiuto di agire.

Proprio oggi ho studiato la peste del 1300 e ho sentito il sangue ribollirmi nelle vene per tutto il capitolo. Una frase del mio libro diceva che “Improvvisamente le persone si resero conto che morire era possibile. La morte venne vista come un’incombenza fisica e concreta, quando c’era sempre stata”.
Eh sì, è stato possibile morire anche in tutti gli scorsi miliardi di anni della storia della terra. I virus, proprio come il Coronavirus, sono sempre esistiti e li abbiamo sempre contratti. Questo però non ha calpestato la nostra libertà. La nostra vita. Nel corso di un anno, milioni di persone moriranno: alcune per malattie orribili come il cancro, altre investite da un’auto, altre ancora verranno fatte saltare in aria dalla guerra, le più fortunate moriranno di vecchiaia. Quante persone non ci saranno più nel 2021? Questo sarà l’ultimo Natale di migliaia di Italiani, come ogni anno è stato l’ultimo Natale di migliaia di Italiani, ma per lo meno prima si aveva l’affetto dei propri cari attorno a sé. Quante persone passeranno il loro ultimo.

Natale da sole quest’anno? E perché? Perché esiste un virus, come milioni di altri virus.
Queste cose mi fanno pensare, mi fanno arrabbiare, mi fanno lamentare tanto e lo so perché vedo le facce dei miei poveri genitori che, dopo un mese di reclusione, credo non mi stiano sopportando più.
Ma chi ha il diritto di decidere chi e cosa sono per me importanti? Davvero vale la pena essere così accecati dalla paura? Davvero vale la pena di salvaguardare una vita in cui non si può uscire di casa, non si può dare un abbraccio ai nonni, non si può stare in piedi fino a tardi con gli amici? Questa è vita? Questa è libertà? É per salvaguardare questo che noi ogni giorno, da dieci mesi ormai, chiniamo la testa alle decisioni di altri?
A me, come a tutti, ormai questo fa soffrire. Persino la scuola, luogo di gioie e dolori, di pianti e risate, ormai ci è negata. Dicono che la scuola sia un diritto primario, ma in questo momento si è trasformata in un puro passaggio di informazioni attraverso un computer, mortificata da videocamere che riprendono a scatti e microfoni che si bloccano in continuazione. Noi ogni giorno studiamo le gesta di personaggi straordinari, rinchiusi nelle nostre quattro mura, magari ancora col pigiama addosso e la voglia di fare tutt’altro. Ho sedici anni, studio al liceo classico e ve lo posso garantire: non stiamo imparando niente dal passato se non una serie di nozioni destinate ad essere dimenticate il giorno dopo. Studiamo i grandi, ma non studiamo come essere anche noi grandi, come agire, come avere il coraggio e la forza di distinguere ciò che è davvero giusto.

Ubriacarsi di vita, questo è giusto. Poter vedere il sorriso di un amico senza una mascherina, poterlo vedere in carne ed ossa e non sgranato dai pixel del computer. É giusto poter andare a fare sport con un maestro vero, senza doversi limitare a seguire tutorial su youtube. É giusto poter viaggiare per vedere tutto il mondo, non morire prima dei nostri giorni in queste quattro mura che ormai sembrano sempre più una prigione. É giusto poter confortare un amico che sta attraversando un brutto periodo piuttosto che lasciarlo solo ad annegare nella sua depressione. É giusto poter correre dalla propria nonna, guardarla negli occhi e dirle che la si ama, perché non lo ammetterà mai, ma dentro di noi abbiamo sempre saputo che non sarebbe vissuta in eterno.

Secondo me vale la pena lottare per questa vita, non per quella pallida esistenza che qualcuno ci ha imposto. Quella non è vita.
Ditemi a questo punto a cosa serve studiare gli eroi, quando da loro non stiamo imparando assolutamente niente.
Assolutamente niente.

Fonte:

Illustrazioni di Davide Bonazzi

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