
Questo è quel mondo? La morale post-pandemica
In un articolo del Post, Francesco Costa critica l’interpretazione secondo la quale la tragedia della funivia Mottarone sarebbe dovuta semplicemente all’avarizia, alla legge del profitto. Le sue osservazioni, in parte condivisibili, si basano tuttavia su paragoni morali che, un anno e mezzo fa, ci sarebbero apparsi quantomeno improbabili: “mi sembra una strage del ‘tengo famiglia’, […] di chi si crede più furbo degli altri”, scrive Costa, “qual è la differenza tra chi ha tolto il freno di una funivia pur di lavorare e chi ha tenuto il ristorante aperto quando era vietato, nonostante la certezza di provocare contagi e morti? Certo, morti forse meno cruente e visibili: ma morti.”
Ecco, caro Costa, in realtà qualche piccola differenza ci sarebbe: per esempio, non a tutti è chiaro come si favorisca il contagio tenendo aperto il locale a cena ma non a pranzo; in questo caso, il calcolo probabilistico del rischio è a monte, direttamente inserito nei decreti del Governo. E no, mi dispiace, opporsi a controverse norme restrittive (che tra l’altro prevedono dei protocolli di sicurezza) non equivale a manomettere il freno di emergenza di una funivia.
E ancora: essere costretti a fermare la propria attività per quindici mesi, senza nessun aiuto economico che garantisca il sostentamento minimo, non è come aggirare la manutenzione di un impianto per non doverlo fermare. Bisognerebbe ragionare, semmai, su come l’abbandono da parte dello Stato abbia generato una disperazione sfociata, inevitabilmente, nell’individualismo di tutti coloro che “tengo famiglia” – piaccia o no.
Ad ogni modo, la prospettiva di Costa si inserisce in un quadro più ampio di ricostruzione della morale in era pandemica. Se volessimo provare a riassumere le caratteristiche di questa nuova morale, esse sarebbero verosimilmente queste: 1) il rispetto incondizionato della Legge; 2) la responsabilità che, pur fingendosi collettiva, si attua essenzialmente a livello individuale e comportamentale, e che al tempo stesso dispensa le autorità competenti, il cui unico compito è quello di istituire la Legge; 3) una condotta di vita sana, priva di eccessi, in cui qualsiasi tipo di rapporto sociale è regolamentato secondo protocolli ritenuti sicuri e funzionali; 4) il lavoro come unico dovere sociale, abnegazione serena dell’individuo che in questo modo può contrapporsi allo stereotipo del fannullone che rifiuta di seguire la morale.
Poi c’è la morte. La morte come unico nemico, da combattere anche a costo della vita. La morte come colpa collettiva. La morte come contenuto da rimuovere, anche simbolicamente, fin nei riti dell’ultimo addio e del lutto (si pensi, per fare un esempio recente, alle salme dell’ospedale di Savona esposte con la mascherina). Vivere soli, morire soli. Monadi efficaci, interconnesse a distanza, utili al benessere del formicaio. Questo è quel mondo.
Illustrazione di copertina: John Holcroft

