Scuola: aule vuote, teste vuote
Una petizione e un appello non si negano a nessuno, nemmeno ai ragazzini che, ad imitazione di contro-filosofi, intellettuali che aspirano alla gabbia d’oro degli usignoli dell’imperatore, a altre corporazioni in competizione con Fedez, hanno raccolto oltre 40 mila firme (quelle le sanno scrivere, almeno) per chiedere al ministro dell’Istruzione di replicare le modalità in uso da due anni non reintroducendo le prove scritte negli esami di maturità.
Così i decisori che si riempiono la bocca con i nobili propositi per salvaguardare il futuro delle generazioni a venire, che collocano i giovani al primo posto nella graduatoria della propaganda elettorale che ormai è perenne anche senza elezioni, li accontentano.
Non si parla più di bamboccioni indolenti, macché, la ragionevole richiesta, che avrebbe suscitato il raccapriccio di qualsiasi pedagogo del passato a cominciare dai maestri Perboni e Manzi, è stata accolta benevolmente come prova di buonsenso e adulta ragionevolezza, e dunque la valutazione della maturità degli studenti 18enni verrà compiuta dalla Commissione totalmente interna salvo il presidente, sulla base di un elaborato “su una materia caratterizzante del percorso di studi”, assegnato dal Consiglio di Classe, per poi proseguire con le prove orali, a conferma del successo della procedura di eccezione introdotta dalla pandemia che il ministro Bianchi ha particolarmente apprezzato.
“I nostri ragazzi l’anno scorso non hanno fatto tesine raffazzonate, piuttosto hanno colto questo momento per riflettere anche sulla propria situazione personale” , ha dichiarato l’apostolo della scuola affettuosa, come una fabbrica che produca buoni sentimenti e bravi ragazzi obbedienti in possesso di quella “tensione morale fondamentale che serve per fare ripartire il Paese”.
D’altra parte il futuro pretende lauree Stem, digitalizzazione, specializzazione estrema quella più alienante che ti dichiara abile a premere tutta la vita il medesimo pulsante, più gratificante ed epico se fa sganciare dal drone una bomba dando luogo a inevitabili effetti collaterali.
E poi, ammettiamolo, a che serve una lingua obbligatoria per i non nativi ma superflua per l’etnia indigena che può comunicare con lo slang universale di Netflix, con il gergo degli influencer sui social, ma pure con l’idioma comunicativo delle autorità: lockdown, job, business, brand, exit poll, start up, customer care fino a green pass.
E peccato che la cancel culture e l’ideologia del politicamente corretto abbia messo al bando certi versacci a alto contenuto “sessista”, altrimenti potrebbero essere sdoganati al posto del fastidioso ricorso alla verbalizzazione per esprimere richiami seduttivi, con le pernacchie per sostituire gli stilemi dell’antipolitica, borborigmi per dare voce ai moti della pancia che parla in nome del populismo.
In fondo sarebbe lecito pensare che tanto arcaico attaccamento alla favella patria sia un deplorevole cascame del sovranismo incompatibile con l’appartenenza all’Europa che già prima di retrocederci a remota provincia e ora a espressione geografica, ometteva l’italiano dal ventaglio delle lingue ufficiali comunitarie.
E poi la comunicazione scritta ha fatto il suo tempo, e i suoi prodotti dalla Divina Commedia alla Costituzione è doveroso che si restringano a comodi format prestabiliti su supporto informatico, comprese lettere di licenziamento in un numero di battute inferiori all’ormai obsoleto Tweet, dogmi della comunità scientifica agevolati sotto forma di intervista o sermone a reti unificate o imperativi del governo somministrati in veste di pastorali e encicliche durante conferenze stampa rivolte ai ripetitori della stampa ufficiale.
Francamente viene da rimpiangere i tempi nei quali agivano indisturbati o quasi noti plagiari autori di best-seller e di tesi di laurea che almeno per copiare si dedicavano a esercizi ormai desueti, lettura, scrittura, quelli che loro malgrado potevano lasciare un’impronta e che forse per questo sono ormai messi all’indice nel rispetto dei principi di precauzione.
Eh si perché quelli vanno applicati a largo raggio e h24, occorre essere prudenti per ostacolare e contrastare tutto quello che può indurre l’azione della ragione e il prodursi di dubbi, che può suscitare curiosità e interrogativi, atti insicuri e rischiosi che possono produrre il contagio della libertà. Resta da chiedersi in cosa consista la maturità per l’oligarchia al comando, valore spesso annoverato tra le carenze identitarie di un popolo puerile che va raddrizzato con una pedagogia severa e austera, esaltato quando spiega l’astensionismo di nazioni da imitare e per le quali il voto è una formalità notarile da espletare per manifestare fiducia ai governi, celebrato quando si tratta del carattere di augusti vegliardi produttivi e venerabili maestri da idolatrare e biasimato quando invece si riferisce a lavoratori che non sanno approfittare delle formidabili opportunità del progresso.
Ma non sarà che come per le mele, l’eccesso di maturità del nostro ceto dirigente a prescindere dall’età anagrafica, sconfina inesorabilmente nel marcio?
ilsimplicissimus / Illustrazione di copertina: Davide Bonazzi