Servi e Smemorati
Si sa che la Storia è piena, è vero, di santi, navigatori e condottieri, ma soprattutto di despoti sanguinari, tiranni feroci e indifendibili cretini: esploratori che non sanno leggere le mappe, profeti che non ne imbroccano una, giudici che mettono ai ferri gli innocenti e tribunali morali che mandano al rogo gli eretici e le streghe.
E c’è da sospettare che sia per questo che i poteri dominanti investono ingenti risorse per manipolarla, cancellarne l’impronta, rimuoverla dalla memoria collettiva e dagli atenei, senza trovare grandi ostacoli anche perché i programmi scolastici non fanno menzione dei popoli, ridotti a comparse sbiadite di un affresco, a eserciti o statistiche degli effetti collaterali di imprese epiche, condotte da chi non può perdere tempo a contare i morti sacrificati per dio, la gloria o il benessere.
Di questi tempi l’obliterazione della storia è un dovere civile, al quale vengono richiamati di continuo i pochi che si ostinano a pensare che invece se ne potrebbero trarre utili lezioni, per comprendere e governare la complessità, anche quella ormai sottoposta a ostracismo e censura, perché il rischio è che potrebbe condurre a interpretazioni che esulano dal riconoscimento manicheo del Bene contrapposto al Male.
Il processo non ha incontrato ostacoli: dopo che il rapporto tra masse e élite, tra gente comune e intellettuali, tra popolo e gruppi dirigenti si era incrinato, l’irruzione provvidenziale sulla scena pubblica di un susseguirsi di emergenze pare abbia invece ricreato un clima di fiducia nei confronti dei tecnocrati e competenti e dei loro usi di mondo ispirati al realismo e a un pragmatismo che non può di certo misurarsi con anacronistiche ubbie.
Eh si, il mondo arrancava sotto il peso di imprevedibili accadimenti, la Politica era inadeguata e corrotta, occorreva affidarsi alle tecnocrazie che avevano consolidato la loro autorità gestendo i meccanismi e le procedure dell’economia e della finanza neoliberista, con gli insuccessi che conosciamo ma che venivano attribuiti ai vizi della governance democratica.
Così dietro al permanere fittizio di un garantismo formale, si introducevano rivolgimenti strutturali e di sistema grazie a slittamenti dell’assetto istituzionale dagli organismi della rappresentanza politica a corpi tecnici separati e ad autorità speciali, i vertici della repubblica venivano affidati a una cerchia ristretta, autoreferenziale e autocratica, il dibattito pubblico veniva sospeso e affidato alla contrattazione tra decisori e rappresentanti degli interessi economici.
Il risultato è che una oligarchia ha accentrato e avocato a sé tutte le funzioni, compresa quella di forgiare un’etica pubblica e una cultura funzionali all’instaurarsi della loro morale, della loro verità, della loro realtà estratta dal procedere della storia per farci vivere in un universo mentale semplificato, infantile e immemore, istantaneo e immanente.
E difatti l’apologo corrente mostra il Male, una nazione canaglia che tollera il dispotismo di un pazzo indottrinato alla ferocia sanguinaria del Kgb, che aggredisce uno stato confinante libero e democratico, talmente intriso dei valori del diritto e della libertà da sacrificarsi per garantirli nel resto del continente, come ha illustrato ieri sera da Fazio il corrispondente dalla “Terza Guerra Mondiale” che gli ucraini combattono in nostro nome porgendo il petto per fermare l’invasore che senza la loro abnegazione sarebbe arrivato fino a Roma e Parigi.
Dall’altra parte lo contrasta il Bene, incarnato da una santa alleanza che con grande mobilitazione di potenza militare, ha eretto intorno alla terra dei barbari dei muri difensivi per proteggere e salvaguardare i principi di una civiltà superiore portatrice di progresso, benessere e democrazia, che possiede in così cospicua quantità da volerla a tutti i costi esportare e far circolare altrove, dove popoli primitivi e bruti attendono di essere addomesticati e riscattati.
E’ in ragione di questo dualismo che si fa strada nell’immaginario il mito della guerra giusta, virtuosa e politicamente corretta, alla quale siamo invitati a partecipare senza sollevare dubbi, senza soppesare le ragioni, soprattutto senza interrogarci sul cui prodest e sui danni che potrebbero derivare a un Paese, il nostro così esposto, vulnerabile e impoverito, perché chi esita è un disfattista, un codardo e un egoista, probabilmente non vaccinato, sicuramente un putiniano che si sottrae all’obbligo di sacrificarsi per unirsi ai partigiani ucraini, per stare in trincea al loro fianco, anche grazie a un formidabile contributo in armamenti che riequilibrerebbero le forze in campo e favorirebbero una soluzione più efficace e duratura di un negoziato diplomatico, dal quale saremmo comunque estromessi per via di antichi vizi e retaggi antropologici che sanciscono la nostra collocazione subalterna nell’impero d’Occidente.
Così il comando di bandire la ragione e la storia prevede qualche eccezione, la prima della quali riguarda l’eterna gratitudine che dobbiamo all’esercito degli alleati oggi rappresentato plasticamente dalla Nato, che ci ha liberati dal nazifascismo che aveva all’origine aiutato a consolidarsi, una licenza che aiuta il processo di delegittimazione della resistenza, della Carta costituzionale e della democrazia frutti della lotta partigiana.
Cui segue la riconoscenza per il rapporto privilegiato che ci ha legati agli Usa, tradotto in quel Piano Marshall per la ricostruzione che oggi si rinnova nel Recovery Fund, concesso benevolmente in forma di prestito usuraio e condizionante la nostra definitiva soggezione. Perché sia chiaro, anche la gratitudine deve essere disuguale in modo da chiarire subito che non è dovuta a chi non è allineato sul fronte dei Giusti, anche si tratti di personale sanitario accorso a tappare qualche falla prodotta da insensate politiche finalizzate a fare della salute un monopolio esclusivo degli abbienti.
E difatti l’eclissi della storia (ne ho scritto qui) ha una funzione ben precisa, quella di rimuovere le colpe del passato, le complicità del presente, le previsioni dei crimini del futuro.
A questo proposito c’è un precedente memorabile, quello dei termidoriani che per “rimarginare” le ferite del Terrore giacobino applicarono una specie di amnesia-amnistia, una damnatio memoriae, oscurando o stravolgendo fatti e episodi compromettenti dei quali erano stati partecipi diretti o indiretti.
E chi non sa che il 25 luglio non si trovava più un fascista a pagarlo, così come oggi sentiamo intellettuali affermare che l’Europa è un faro della pace e della coesione, rimuovendo le guerre umanitarie condotte con l’irrinunciabile alleato, compresa quella condotta nel suo cuore, o che l’America anche quando compie efferate missioni imperialistiche resta la democrazia guida della civiltà come ai tempi di Tocqueville.
E difatti quello che anima questi illuminati a posteriori dal Terrore politicamente corretto dei Migliori, assomiglia al trasformismo dei termidoriani che salutano con giubilo il ritorno alla normalità prima di Robespierre, con le carrozze davanti ai teatri, gli abiti lussuosi e spregiudicati, i frutti evidenti della corruzione che ha beneficato le nuove élite condannando il popolo a infinite e luttuose povertà e umiliazioni. La fine della storia deve anche significare la fine delle speranze di riscatto, il dominio della rinuncia e del sacrificio grazie all’impero della paura.
ilsimplicissimus / Illustrazione di copertina: Emiliano Ponzi