Si è bloccata la democrazia
Dopo la rielezione di Macron all’Eliseo, si fa sempre più chiaro dove sta andando l’Europa: verso una democrazia bloccata, autoreferenziale, chiusa a ogni svolta, senza alternanza e senza alternative.
Come si può definire il sistema politico che ne deriva? Nella migliore delle ipotesi possiamo chiamarlo bipolarismo imperfetto, parafrasando una definizione che dette tanti anni fa il politologo Giorgio Galli, che firmò per anni la rubrica politica di Panorama. Imperfetto per Galli era il bipartitismo che si era instaurato in Italia, perché non c’era possibilità di alternanza, in quanto il Pci non era abilitato a entrare nelle stanze del governo, essendo legato all’Urss, anche se si erano aperti via via varchi nei governi locali, regionali, nel sottopotere, oltre che nel sindacato, la magistratura, l’università, la scuola, l’editoria, la cultura e lo spettacolo.
Il bipolarismo imperfetto dei nostri giorni, invece, nasce da un fossato incolmabile tra gli insider e gli outsider, ossia tra chi è dentro il Palazzo e chi ne è fuori. Tutte le forze che sono all’interno del perimetro, espressione dell’establishment, si uniscono e puntano su un candidato (Macron in Francia, Draghi da noi); coloro che ne sono fuori e lo contestano invece votano i candidati antagonisti, che però non si alleano mai, nemmeno al ballottaggio. E’ il caso Le Pen-Melenchon, ma è pure il caso italiano di Fratelli d’Italia, Lega e 5Stelle, magari assorbite singolarmente nel Palazzo, piuttosto che alleate al voto.
Il risultato è che l’opposizione non potrà mai vincere e andare al governo, perché il populismo non è un blocco compatto, la protesta sceglie infiniti rivoli individuali e particolari, difficilmente confluenti; e poi non è legittimata a governare dai grandi poteri interni, internazionali, e dai grandi media che ne sono la guardia giurata. Non glielo permetterebbero.
Si lasciano deperire tradizioni politiche importanti nella storia europea, siano esse di sinistra, di centro, di destra, cattoliche, socialiste o golliste, conservatrici o progressiste, per unificarle dietro il Candidato-Sistema per fare blocco contro il Candidato-Antisistema. E così la democrazia viene di fatto bloccata, non permette alcun ricambio di governo.
Ma quel bipolarismo ormai è lo specchio di una spaccatura insanabile della società: è una spaccatura che divide le grandi città dalla provincia, le capitali dalla periferia, i ceti benestanti da quelli popolari, gli integrati dai dis-integrati (inclusi gli apocalittici).
In basso il bipolarismo conflittuale nasce dalla percezione che le minoranze contino più delle maggioranze, anzi che queste siano sottomesse a quelle. Le classi dirigenti vengono ormai recepite, per dirla con Gramsci, come classi dominanti. Ma l’ostilità popolare verso le minoranze si estende oltre le oligarchie che detengono il potere, le élite benestanti e sovrastanti; è anche verso le minoranze protette dai nuovi codici progressisti a tutela di alcune categorie ritenute discriminate, almeno in passato, nei diritti civili. Ma per essere inclusivi con queste, si esclude la maggioranza, la si disconosce.
La maggioranza della popolazione avverte così di essere dominata dalle prime, trascurata rispetto alle seconde, bistrattata e disprezzata da ambedue… E reagisce con la protesta insolente, col voto contrario, con la chiusura nei propri recinti, anche sul piano dei social. Di solito tutto questo viene spiegato con la diffusione del rancore a livello popolare grazie anche all’effetto nefasto dei social. Ma come ogni fenomeno ha il suo rovescio della medaglia: c’è pure la paura delle minoranze dominanti e la campagna di allarme e terrore contro la “plebe” per impedire che le maggioranze malmostose, forse sediziose ma non più silenziose, possano portare al potere un loro tribuno.
Il risultato lo dicevamo agli inizi: la democrazia bloccata, e dimezzata, perché l’alternanza è vista solo come un pericolo di barbarie. Ambedue i mondi contrapposti annunciano l’avvento di dittature, oligarchiche o populiste, totalitarie o autoritarie. Con la differenza che quella “populista” è annunciata, quella oligarchica è già in corso. Del resto si avverte che le decisioni importanti prescindono totalmente dalla sovranità popolare, non passano dalle assemblee elettive, tantomeno dal suffragio universale. Sono assunte in contesti blindati e opachi, fatte da oligarchi e burocrati che non rispondono a nessuno e spesso incrociano le loro decisioni con l’influenza crescente di grandi interessi finanziari transnazionali.
Insomma il bipolarismo in atto ha qualcosa che somiglia a una guerra strisciante piuttosto che una contesa politica. Non ci sono margini di trattativa né volontà di riconoscimento reciproco e di legittimazione incrociata: c’è una frattura tra i due mondi. E non sono ammesse mediazioni.
La differenza è che le minoranze alla fine si coalizzano e riescono a compattare un blocco di potere destinato a vincere; il polo protestatario, al contrario, si disperde in tanti rivoli, e in tante rivolte individuali o al più tribali; non si compone se non in corpose minoranze (come quel 42% che ha votato Le Pen) ma non intercetta l’intero universo di chi dissente. Naturalmente la diversa risposta alle chiamate finali deriva dall’asimmetria tra i due mondi: il primo difende posizioni di potere, di rilievo o di benessere, il secondo dovrebbe mettere in comune la rabbia, la protesta, la voglia di cambiare. Ovvero una coalizione si fonda per difendere ciò che ha, e perciò alla fine si compatta; l’altra dovrebbe fondarsi su ciò che non ha, o ritiene di non avere e perciò si decompone. Così restiamo prigionieri della democrazia bloccata.
Illustrazione di copertina: Alex Nabaum