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Siamo in Guerra (parte II)

Vediamo allora come possono essere andate le cose. Come ho già detto, mentre penso che il quadro generale che andrò delineando sia piuttosto credibile, è probabile che i singoli punti si riveleranno infondati in tutto o in parte.

La preparazione dell’attacco inizia con una campagna mediatica sul nuovo virus di Wuhan. Poco importa che il virus sia naturale o artificiale, che esso sia sfuggito a un laboratorio cinese o che sia stato rilasciato dagli americani durante le Olimpiadi militari tenute in città nell’estate del 2019, che esso sia più o meno grave.

Diversamente da quanto qualcuno mi rimprovera, io non ho mai negato l’esistenza del covid e nemmeno che esso possa essere molto pericoloso. Penso però che un virus che uccide persone che hanno un’età media che è di un anno inferiore all’aspettativa di vita generale, in circostanze diverse non avrebbe dato adito a particolari reazioni. Tutto sarebbe rimasto nell’ambito di un problema riservato ai medici e ai pazienti. Non avrebbe coinvolto l’intera società. Al massimo la pubblicità progresso avrebbe prodotto degli spot raccomandando alcune norme di prevenzione.

Sono convinto che questa fosse, al principio, anche l’intenzione delle autorità cinesi. Non a caso, quando il problema si è presentato, esse hanno cercato di minimizzare gli effetti del contagio. Solo nel momento in cui la campagna di stampa partita in occidente ha assunto dei toni incalzanti, si è diffusa la convinzione, presso i vertici dello stato cinese, che qualcosa bolliva in pentola e si preparavano dei passaggi molto gravi. Quella che in un primo momento si annunciava come una puntura di spillo mediatica era in realtà il preludio ad azioni più drastiche, prima fra tutte la limitazione o il blocco del commercio internazionale.

Di fronte a questo pericolo, la risposta del governo cinese è immediata e radicale. Si chiudono in casa milioni di persone concentrate in una regione, per poter continuare a produrre nel resto del paese. Si impiega l’esercito, che organizza ospedali militari e cura la distribuzione dei viveri ai cittadini confinati in casa. È necessario impedire che il contagio si diffonda. Non si vuole dare un pretesto di nessun tipo al rivale americano. Probabilmente si spera di risolvere la questione in questo modo. Viene messa in preventivo la perdita di qualche punto del PIL, ma bisogna continuare in una direzione che si ritiene alla lunga vincente.

So che molti, sulla scorta della propaganda trumpiana, imputano alla Cina la deliberata volontà di aver diffuso il virus per colpire l’Occidente. Ritengo questa interpretazione molto ingenua e viziata da un anticomunismo di maniera che è l’altra faccia dell’antifascismo in assenza di fascismo.
Che interesse avrebbe avuto la Cina a comportarsi in questo modo? Le classi dirigenti del paese asiatico pensano sui tempi lunghi. Esse sono convinte che all’impero di mezzo spetti un ruolo centrale nella politica mondiale, quello che nella storia la Cina ha sempre avuto con la sola eccezione del secolo buio che va delle guerre dell’oppio alla presa del potere di Mao. L’economia, ai loro occhi, è lo strumento attraverso il quale la Cina può esercitare la sua egemonia.
Diversamente dagli americani, i cinesi non hanno una mentalità missionaria. Essi non impongono uno stile di vita ma rivendicano il riconoscimento della loro centralità. Questo obiettivo, nella Cina post maoista, viene perseguito attraverso la crescita, l’innovazione tecnologica e l’espansione del commercio. È probabile che l’élite politica abbia preso la palla al balzo per attuare una stretta autoritaria incrementando il proprio controllo sui cittadini (il controllo elettronico dei cittadini, del resto, è da tempo una realtà in Cina e muove notevoli interessi economici e politici). Non credo, però, ci sia stata la volontà di provocare di proposito quanto poi è accaduto. Non a caso il lockdown a Wuhan è finito quando sono cominciati quelli occidentali.

Mentre il virus stava spegnendosi in Cina, esso si trasferiva in Occidente.
Sappiamo come sono andate le cose, perché l’Italia ha avuto un ruolo centrale in tutto questo. Tra febbraio e marzo del 2020 siamo passati, nel giro di poche settimane, dallo slogan politicamente corretto “Abbraccia un cinese!” all’altro slogan, ugualmente politicamente corretto, anche se di natura opposta, “Io resto a casa”.
Dopo il lockdown italiano vi sono stati quelli degli altri paesi occidentali. Chi in un primo momento ha cercato di seguire una strada diversa, come Boris Johnson, ha fatto poi una precipitosa marcia indietro, piegato non dall’eccezionalità degli eventi, come la squallida stampa di regime ha affermato, ma dalla consapevolezza che agire autonomamente gli avrebbe fatto perdere l’incarico e forse anche la vita.

Il fatto che tutti si siano mossi come un sol uomo (in verità non tutti, perché vaste aree del globo hanno continuato a vivere normalmente) ha fatto credere che quella in corso fosse un’emergenza sanitaria realmente catastrofica.
Questo apparente unanimismo non deve stupire. Nel mondo globalizzato le classi politiche hanno perso, con rare eccezioni, prestigio e autonomia. Esse sono soggette alla pressione dei poteri sovranazionali che se ne servono a loro piacimento e possono in qualsiasi momento sovvertirle, puntando su maggiordomi diversi. Solo pochi paesi hanno la forza di resistere a questi condizionamenti o sono talmente deboli da non poter imporre nulla ai loro cittadini. Gli altri devono comunque adeguarsi. Persino quelli, come la Russia, che pure sono oggetto dell’attacco e godono di una certa autonomia, sono costretti a tener conto, in una certa misura, delle pressioni internazionali.

L’altro fatto che ha convinto l’opinione pubblica della bontà dei provvedimenti adottati è stata la loro stessa enormità. Dopo decenni di austerità, durante i quali un deficit del 3% veniva considerato inaccettabile e tale da compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa, ecco che – quasi improvvisamente – si accettava di bloccare i consumi e l’attività produttiva, con perdite del 10% del PIL e aumenti della stessa natura del deficit di bilancio. Eventi del genere non potevano che essere determinati da ragioni eccezionali. Cosa poteva indurre uno stato, o un gruppo di stati, ad accettare perdite tanto grandi, compromettendo in poche settimane sacrifici di anni?

In realtà, se noi avessimo pensato che chi ha promosso tutto questo ragiona con una logica militare, non ci saremmo stupiti più di tanto. Come in tutte le guerre, in particolare quelle dove è in gioco l’egemonia globale, si dà per scontato di subire perdite e distruzioni materiali, anche gravi, in vista di un guadagno futuro. Inoltre, le guerre, se rappresentano una sciagura per molti, costituiscono una straordinaria occasione di guadagno per altri. Esse non servono soltanto a colpire un nemico esterno, ma anche – e in alcuni casi soprattutto – a ridisegnare un paese, ridefinendone i rapporti interni in favore di questo o quel gruppo sociale.
Il blocco dell’economia occidentale non ha avuto lo stesso effetto su tutti i comparti produttivi. Alcuni sono stati mortalmente feriti, altri hanno conosciuto un grande sviluppo. I lockdown, quindi, da un lato colpiscono, con la diminuzione della domanda, le aziende cinesi e un produttore di materie prime come la Russia; dall’altro, ridisegnano la società occidentale, mettendola al servizio delle grandi corporation. La digitalizzazione, la transizione ecologica , la geopolitica vaccinale sono finalizzate a questo scopo. Quest’ultima, in particolare, è finalizzato a mantenere il controllo dell’Occidente sulle aree del pianeta che gli stanno sfuggendo di mano.

Le élite che hanno concepito il piano hanno pensato, questa volta, sui tempi lunghi. La Cina, un paese di recente industrializzazione, avrà grandi difficoltà a disfarsi del petrolio, del gas e del carbone. La Russia, che sulle materie prime vive, ne sarà colpita a morte. La folle pretesa di vaccinare il mondo, ripetutamente annunciata da sciagurati leader politici e religiosi, intende fare dei paesi dell’Africa e dell’Asia il protettorato di una nuova Compagnia delle Indie, l’industria farmaceutica. Il controllo biometrico sui movimenti e sulla vita delle persone permetterà poi di esercitare un dominio assoluto sulle nostre società.
C’è qualcosa di ideologico in tutto questo.

E’ molto probabile che gli ideatori di questo piano perverso siano convinti di fare il bene. Se tutto andrà secondo i loro progetti, nei prossimi venti anni si assisterà ad un cambiamento epocale: al cittadino lavoratore si sostituirà l’apolide consumatore; la pensione verrà sostituita dal reddito di cittadinanza; la sanità pubblica dalla profilassi vaccinale; i legami familiari, le credenze religiose, le convinzioni politiche saranno fortemente allentati; il politicamente corretto sarà l’unica ideologia ad essere legittimata.
Sul piano internazionale il capitalismo anglosassone riaffermerà la sua egemonia, mettendo nell’angolo la concorrenza cinese e riconquistando il controllo della Russia. Per realizzare questo obiettivo forse non ci sarà nemmeno bisogno di passare ad una guerra calda. Ci potranno essere dei punti di scontro diretto (in Donbass, in Siria, in Iran, a Taiwan o altrove), ma nel complesso la guerra sarà condotta con mezzi non convenzionali, come sta avvenendo ora.

Arrivati a questo punto, provo ad azzardare delle previsioni, cercando di rispondere alla domanda che spesso mi pongo. Può essere vincente un piano come questo?
Tenderei a pensare di no.

Questa perversa politica è probabilmente destinata ad andare avanti a lungo ed è in grado di piegare la nostra resistenza con la forza e rovinarci la vita. Non credo, però, che essa possa avere successo. Sono convinto, al contrario, che affretterà l’ascesa della Cina.
Una società fondata sul controllo capillare delle persone contraddice allo spirito dell’Occidente.
Pensare di battere la Cina su questo terreno è pura follia.
Un mondo che proibisce il contraddittorio tende a perdere dinamismo e, soprattutto, produce un materiale umano scadente.

Le élite finanziarie hanno perso il contatto con la realtà. La loro autoreferenzialità e la convinzione di essere onnipotenti sono la loro forza ma anche la loro debolezza.
Alla fine tutto questo finirà per travolgerle.

Prof. Silvio Dalla Torre

[prima parte]

Illustrazione di copertina: Francesco Bongiorni

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