Società

Sono due anni, ma sembrano venti.

Il pericolo più grande è davanti a noi.

Due anni, ma sembrano venti. Praticamente ogni mattina incrocio lo stesso scuolabus ed, ogni volta, è come tuffarsi nell’Italia profonda, che ormai vive isolata e rintanata nei suoi appartamenti – bunker: bambini sedati, senza ossigeno, con lo sguardo perso nel vuoto. Distanziati, tra i sedili di un pulmino mezzo pieno.

Metafora d’oggi: gioia, serenità, solidarietà? Tutto annichilito dietro una maschera: isolamento e obbedienza. Paura e disciplina.

Difficile dimenticare le strade mentre si svuotano, le persone mentre ti evitano, gli occhi impietriti dei passanti perchè hanno incontrato “il virus”. E quel virus sei proprio tu, potenziale malato ed untore. È difficile dimenticare. Perchè è ancora così. Di giorno in giorno, di dose in dose, di variante in variante. Due anni, ma sembrano venti.

È il 9 marzo 2020 e mentre un’Italia già sconvolta viene rinchiusa in lockdown, Massimo Di Giannantonio, Presidente della Società italiana di psichiatria (Sip) e professore ordinario all’Università di Chieti-Pescara, dalle colonne de “La Nazione – Quotidiano Nazionale”, tesse le lodi della Paura quale reazione utile ed efficace: “Si è allertati e reattivi con estrema capacità adattiva”.

Ecco la chiave: l’essere umano ha un’altissima capacità di adattamento e quindi, da ciò, è possibile ricavarne un’utilità. Quale utilità? A vantaggio di chi?

E se questa paura diventasse tanto ossessiva da degenerare in panico? Per Di Giannantonio ciò non andrebbe affatto bene, essendo un fenomeno “Pervasivo, irrazionale, collegato all’angoscia di morte” (2).

Immaginiamo una folla riunita in un teatro: “L’accorgersi del fuoco porta improvvisamente all’eccesso quanto nel pubblico preesisteva del senso di massa. Per il comune e inequivocabile pericolo nasce un timore comune a tutti. Per breve tempo è nel pubblico una vera massa (…). Tanto più si lotta per la propria vita, tanto più chiaramente si lotta contro gli altri, che ti ostacolano da ogni parte” (3). Così il premio Nobel per la letteratura Elias Canetti definisce in “Massa e Potere” le conseguenze allo scatenarsi del panico. Esso è un “disgregarsi della massa” (4).

Questa disgregazione si può prevenire soltanto “prolungando lo stato originario di unitario timore di massa. Si può provocare ciò in una chiesa che sia minacciata: si prega nel comune timore di un dio comune, nelle cui mani stia la facoltà di estinguere il fuoco con un miracolo” (5).

Quindi affidando il nostro destino ad una autorità superiore torneremo ad essere non più la folla disgregata e imbizzarrita invasa dal terrore che scappa a rintanarsi dal virus killer, ma l’insieme coscienzioso e responsabile di animali sociali che ritrova unità e coesione grazie a nuovi simboli e valori condivisi: Andrà tutto bene!

Arcobaleni marzolini fioriscono sui balconi d’Italia.

Così come fioriscono nuove leggi, consuetudini e modi di fare. Ormai si vive al chiuso disinfettando ogni cosa, rinunciando persino a respirare come prima, a toccarsi come prima, a parlarsi come prima. La vita digitale prende il sopravvento, persino sotto le lenzuola. Il commercio fa ormai a meno dei negozi, il ristorante ti arriva a casa in bicicletta.

Viviamo ormai isolati, ma in tv dicono che siamo tutti uniti.

È il governo la massima autorità che ha “la facoltà di estinguere il fuoco”, ma le notizie sempre più martellanti lo alimentano ossessivamente. Le fiamme ormai sono altissime: “le informazioni contraddittorie creano angoscia”, sentenzia lo psichiatra Di Giannantonio (6). E allora, finalmente, dall’alto arrivano gli estintori di emergenza: “Ci sono delle regole”. Questa consapevolezza, ormai diffusa in basso, diventa presto un bene ed un sentire comune.

La gratitudine e la riconoscenza del cittadino non si fa attendere: c’è chi indossa la mascherina in macchina da solo, c’è chi redarguisce il prossimo e chi assume il ruolo, non richiesto da alcuno, di controllore altrui. Molto spesso si va al di là di ciò che è formalmente un dovere, e per i più diventa improvvisamente obbligatorio ciò che in realtà non è. Così lo spiega il grande sociologo tedesco Heinrich Popitz, nel suo celebre saggio sulla “Fenomenologia del Potere”:

Colui che attribuisce autorità ad un altro si adatta al volere del detentore dell’autorità non soltanto nel suo comportamento controllabile, ma anche in ciò che fa inosservato. Quand’anche possa contare sul fatto che il suo fare o non fare rimarrà ignoto, egli si comporta (spesso) in maniera conforme. Gli effetti di autorità portano ad adattamenti che travalicano l’ambito di controllo del detentore dell’autorità. Gli effetti di autorità portano all’adattamento non solo del comportamento, ma anche dell’atteggiamento. Colui che dipende dall’autorità adotta i giudizi, le opinioni, i parametri di valore del detentore dell’autorità – i suoi “criteri” – e con essi le sue “prospettive”, il punto di vista e il modo di vedere a partire dai quali questi giudica, le sue regole di interpretazione dell’esperienza. Il riconoscimento dell’autorità significa sempre anche un adattamento psichico. (…) Ciò rende anche comprensibile perchè una conformità determinata dall’autorità travalichi il campo delle azioni controllabili. Colui che dipende dall’autorità tiene d’occhio se stesso. Egli giudica il proprio comportamento con lo spirito dell’autorità, i cui criteri e prospettive ha adottato. Il riconoscimento di una nuova autorità può portare ad un cambiamento radicale di atteggiamento. La nuova autorità schiude un nuovo mondo, rende visibile nuove verità, converte ad una nuova fede: ad fidem faciendam auctoritas. (…) Chi attribuisce ad altri autorità su se stesso riconosce una superiorità dell’altro” (7).

Due anni interi, ma sembrano venti. Per capire la natura di quella autorità che oggi ha le sembianze dell’attuale governo, a cui ormai abbiamo concesso praticamente tutto, bisogna prima provare a pensarci su: viviamo meglio rispetto al 2019/2020?

La qualità della nostra vita e della nostra società è progredita o regredita? Prima di rispondere dobbiamo forse liberarci da un preconcetto atavico, da una credenza popolare dura a morire che, paradosso dei paradossi, è stata così recentemente smentita alla perfezione da un alto prelato, Carlo Maria Viganò: “Dobbiamo rinunciare a pensare che i nostri governanti agiscano per il nostro bene” (8).

Proprio mentre dall’alto si fomenta, da mesi e mesi, La Guerra Civile che sta dilaniando le relazioni umane, quindi le famiglie, quindi le amicizie, arrivando a minare l’esistenza stessa della collettività, proviamo ancora a guardarci indietro, come si fa quando si attraversano periodi di grande difficoltà personale: ci si rivolge alla memoria, al proprio passato, alle proprie radici.

Historia magistra vitae, secondo Cicerone, la Storia è maestra di vita (9). L’Impero Romano ha insegnato al mondo come si comandano le società, i territori ed i popoli sottomessi. Ed è proprio Cesare che ci illustra come veniva esercitato il governo, che quindi – anche allora – non era espressione delle volontà dei dominati ma del sistema congegnato e occupato dai più forti:

In tutta la provincia venivano riscosse con la massima durezza le somme di denaro che egli aveva imposte. Per soddisfare la sua avidità, si escogitavano molti sistemi di riscossione, a seconda del censo: si imponeva un tributo di capitazione su ogni schiavo o uomo libero; si applicavano imposte sulle colonne, sulle porte, si esigevano frumento, soldati, armi, rematori, macchine da guerra, prestazioni di trasporto. Se si riusciva a trovare una definizione adatta, questa sembrava sufficiente per arraffare altro denaro. Si assegnavano a singoli capi, rivestiti di comando militare, non solo le città ma potremmo dire, anche ogni borgata e ogni villaggio. Fra costoro chi operava con la massima durezza e crudeltà era considerato uomo e cittadino esemplare. La provincia era piena di littori e di persone che esercitavano la loro autorità; non si contavano i prefetti e gli esattori che oltre a riscuotere le somme ordinate pensavano anche al guadagno personale; infatti andavano dicendo che essendo stati cacciati dalle loro case e dalla loro patria mancavano di tutto il necessario e così coprivano con un pretesto decente un comportamento vergognoso. Si aggiungevano poi interessi molto gravosi, come avviene quasi sempre in tempo di guerra, quando si esigono contributi da tutti; e in queste circostanze la dilazione del termine di scadenza era, così sostenevano, un vero regalo. Pertanto in questi due anni il debito della provincia ebbe un’impennata. Ciononostante si imponevano ai cittadini romani di quella provincia determinate somme di denaro e si pretendeva che fossero prestiti da esigere per decreto del Senato; ai pubblicani si ordinò di versare come anticipo a titolo di prestito i tributi dell’anno successivo a seconda dei loro capitali. (10)”

Due anni, ma sembrano venti: pensate anche solo ai nomi di punta dei nostri attuali governanti, ma anche a quelli meno recenti, alle loro biografie ufficiali e alle politiche di impoverimento costante e sistematico da loro attuate per decenni. Corruzione politica, subalternità monetaria ed economica, vessazione fiscale, schiavitù da debito pubblico e privato, marginalità geopolitica: quello che in antichità accadeva “in provincia” dell’Impero Romano, oggi si svolge nelle colonie dell’Impero globale delle multinazionali. E stavolta, a parti invertite: è l’Italia intera ad essere provincia. La provincia – laboratorio del “Mondo Nuovo”.

Coloro che detengono i mezzi e l’autorità per farlo, sono arrivati a impaurire, dividere, lacerare, frantumare la società. Ma non sono ancora riusciti ad annientarla del tutto, nonostante incalcolabili e invincibili mezzi tecnici e tecnologici; poteri politici, finanziari e monetari praticamente illimitati; farmaci sperimentali bombardati su vastissima scala; propaganda mediatica onnipresente senza sosta.

La realtà odierna ci parla di piazze piene, della (ri)nascita di relazioni collettive, di comunità e di circuiti economici paralleli diffusi su tutto il territorio, della presa di coscienza sociale e politica di tanti cittadini, dell’impegno in prima persona di intellettuali non allineati ed un contesto internazionale in continuo fermento. Tutto ciò fa intravedere uno scenario meno fosco di qualche tempo fa, anche se ancora acerbo, troppo improvvisato e provvisorio.

Ma come ci insegna un altro dei nostri illustri antenati, Niccolò Machiavelli, Il Principe saggio “deve soltanto cercare di non farsi odiare” (11). Altrimenti perderà il potere.

Son già due anni ma sembran venti; però il vento sembra cambiare, forse verso nuovi cataclismi finanziari o magari verso qualcosa che ci allontani, quanto più possibile, da quel destino auspicato nel 2003 dal futuro Ministro dell’Economia e delle Finanze Tommaso Padoa Schioppa:

nell’Europa continentale, un programma completo di riforme strutturalideve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere” (12).

Ciò è stato recentemente ribadito anche da un giovane ex Presidente del Consiglio: “voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, provare, correre, giocarsela, se non ce la fai ti diamo una mano, ma bisogna sudare ragazzi” (13).

Praticamente ogni mattina incrocio i giovanissimi passeggeri del medesimo scuolabus imprigionati dalle loro maschere: simbolo di obbedienza e sofferenza. Dovranno presto lottare fra loro per agguantare il lasciapassare migliore, l’unico accredito per non essere esclusi dalla società della tecnoschiavitù. Ovvero, il presente proiettato già nel futuro. Chi dispone delle reali leve del comando, vorrebbe renderlo permanente: ecco perché, il pericolo più grande è davanti a noi.

Secondo Elon Musk, oggi il più ricco del mondo (14), rischiamo davvero grosso.

È lui l’uomo dell’anno 2021 secondo la rivista “Time”, e proprio durante l’intervista celebrativa si espone contro l’obbligo vaccinale di massa spinto dall’attuale amministrazione Biden, facendone un problema di libertà individuale (15). Poi, dalle colonne del Wall Street Journal (organo ufficiale del capitalismo finanziario – oggi potere dominante), lancia un allarme senza precedenti. È forse una pietra che decide di scagliare contro un’altra fazione, quella dei colleghi della sua classe promotrice del Grande Reset (anche demografico) in corso, perlomeno in Occidente:

“Penso che uno dei maggiori rischi per la civiltà sia il basso tasso di natalità, una natalità che è in rapido declino. Eppure in tanti, comprese le persone intelligenti, pensano che ci siano troppe persone nel mondo e che la popolazione stia crescendo senza controllo. È esattamente il contrario. Si prega di guardare i numeri.

Se le persone non fanno più figli, la civiltà crollerà. Ricordate queste mie parole” (16).

Abbiamo tutti, ognuno secondo le proprie possibilità, la responsabilità ed il dovere di cercare di costruire insieme una realtà piena zeppa di bimbi giocosi e sorridenti, liberi di crescere e di vivere.

Anche gli occhi del Potere possono incrociare la Paura, dipende dal popolo che si ritrova di fronte.

Jacopo Brogi

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Comedonchisciotte / Illustrazione di copertina: Victoria Ivanova

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