Attualità,  Mass Media,  Società

Sulla visibilità mediatica del dissenso

Il libero e democratico occidente si autorappresenta come un sistema politico aperto e plurale in cui qualunque istanza, purché non sia offensiva e non inciti alla violenza, può trovare facilmente visibilità mediatica. Il principio liberale alla base è quello ben noto della libertà d’espressione e l’utopia che viene coltivata è quella di una sfera pubblica che non abbia a priori nessuno sfondo etico, nessuna preferenza assiologica, nessun sistema valoriale. Una sfera pubblica siffatta viene vista come la migliore condizione affinché dei punti di vista nuovi ed originali possano affacciarsi senza essere pregiudicati dal pensiero morale e politico dominante, appunto perché in questa utopica proiezione non ci deve essere per nulla un pensiero dominate. Si tratta insomma, di un corollario della cosiddetta “fine delle ideologie”: dato che la Seconda guerra mondiale ha seppellito il nazi-fascismo e il crollo del muro di Berlino il comunismo, la società che si è venuta a creare ha la caratteristica di essere un terreno neutro su cui ogni novità può innestarsi senza problemi.

Bene, ma ammesso e non concesso che l’utopia appena descritta sia desiderabile e non sia piuttosto una distopia nichilista, vien da chiedersi se il mondo neoliberale contemporaneo sia fedele a questa descrizione. A chiunque abbia una minima capacità di osservare il proprio tempo risulterà immediatamente evidente che le cose non stanno così: le ideologie non sono affatto finite e si dovrebbe cominciare a parlare del periodo successivo all’implosione dell’URSS come il periodo dell’affermarsi incontrastato di una precisa ideologia, quella liberal-capitalistica. Inoltre, il fatto che i meccanismi di mercato (ad esempio, la concorrenza o il perseguimento del profitto ad ogni costo) si siano allargati dall’ambito squisitamente economico fino a colonizzare la totalità della vita, fa sì che i punti di vista innovativi e la sfera pubblica siano, di fatto, piegati a queste logiche. Ciò significa che, dal punto di vista descrittivo, la sfera pubblica è analoga al mercato e le opinioni sono analoghe a un prodotto di scambio. Resta vero, tuttavia, che il tipo di selezione dei pensieri degni di visibilità operata dalla sfera pubblica-mercato è qualitativamente diverso da quella che operata da una sfera pubblica dominata, ad esempio, da un regime totalitario.

Ora, se la situazione fosse solo questa, si potrebbe pensare che l’unico livello di selezione delle opinioni sia quello relativo all’appetibilità per il pubblico-consumatore. In questo contesto, un’opinione di dissenso verso il regime dominante dovrebbe semplicemente trovare il modo di presentarsi come un prodotto di mercato. Si tratterebbe, cioè, di un problema di forma e non di contenuto. Purtroppo, però, sembra davvero che il clima mediatico attuale veda la presenza di un secondo livello di selezione, questo sì paragonabile a ciò che avviene in un regime totalitario. Questo secondo livello colpisce quelle opinioni che tentano di mettere in discussione quello sfondo etico sui generis che è il mercato. Un’opinione che intenda contestare frontalmente non alcune opinioni, ma la regola stessa che indica le condizioni alle quali deve sottostare un prodotto (o anche quella forma di prodotto spirituale che sono i pensieri) per essere degno di successo e visibilità viene sottoposta a censura sulla base del suo contenuto. Si potrebbe riassumere questo punto così: il primo livello di censura riguarda la forma dell’opinione (se è appetibile o meno per il pubblico), il secondo livello di censura riguarda il contenuto di quelle opinioni che criticano la forma dell’interazione socioeconomica (i meccanismi di mercato).

Ma in che modo avviene la censura? Rispondere a questa domanda è essenziale per prendere consapevolezza del fenomeno e poterlo così riconoscere. Anzitutto, rispondere significa illuminare una modalità, pertanto il discorso su chi è il soggetto, il responsabile di questa censura verrà lasciato da parte. Basti dire, per fugare qualsiasi dubbio, che chiunque voglia cercare questo responsabile in qualche mente cospiratrice che tende i fili nell’ombra starebbe perdendo il suo tempo.

La censura odierna non si applica più tramite liste di libri proibiti o tramite l’ossessiva rimozione di qualunque contenuto eversivo, ciò sarebbe folle prima di tutto dal punto di vista della percorribilità materiale e in fin dei conti (anche se la cosa, nel passato più prossimo, è cominciata a mutare) chiunque può dire qualunque cosa sui social networks. Per poter vedere chiaramente come si applica oggi la censura occorre, pertanto, fare uno spostamento di punto di vista: non più guardare se un contenuto eterodosso è accessibile e fruibile, ma se questa fruizione avviene di fatto e, soprattutto, se produce degli effetti reali, concreti sulla coscienza collettiva; se cioè è tale da produrre un pericolo reale per il capitalismo. Fatto questo chiarimento, è ora possibile identificare tre strategie censorie attive oggigiorno che si potrebbero etichettare così: silenzio, neutralizzazione e macchina del fango.

La prima e più semplice forma di censura è quella del silenzio. Un pensiero eterodosso o un movimento collettivo che si ispira a questo viene semplicemente taciuto, non perviene all’attenzione dei media mainstream. Si potrebbe ritenere che la causa di questa omissione sia relativa alla diffusione: una realtà poco diffusa non viene raccontata. Ma se invece la realtà in questione non fosse marginale, ma abbia invece un seguito cospicuo? In questo caso, non si può che ritenere che il motivo della non visibilità sui media mainstream riguardi esattamente il contenuto, il suo essere non allineato. Questo può risultare chiaro se si guarda agli stadi iniziali di qualunque movimento antisistema, che si deve guadagnare con grande fatica una fetta di visibilità mediatica, mentre quei movimenti portatori di istanze innocue o addirittura favorevoli allo status quo non hanno alcuna difficoltà a farsi vedere e a ottenere l’appoggio di tutti i media. Un esempio di questo secondo caso è quello delle Sardine, nate per portare in piazza a Bologna la protesta di una sera e subito rilanciate da ogni media nazionale come il nuovo volto della sinistra, come il movimento dei giovani progressisti ed europeisti. Questo inaspettato successo mediatico li ha portati a riempire le piazze nei mesi successivi, ma li ha anche portati velocemente al declino, scontando con ciò la mancanza di un progetto politico diverso dalla ripetizione di qualche slogan liberal-progressista.

La seconda forma di censura si applica a quelle istanze contro-egemoniche che sono riuscite a conquistarsi un seguito non più ignorabile dai media mainstream. Il silenzio in questo caso risulterebbe una tattica comunicativa troppo scoperta e rischierebbe di intaccare la credibilità e l’affidabilità delle testate comunicative principali. La strategia è quindi la seguente: non più ignorare, ma portare a conoscenza del grande pubblico queste realtà neutralizzando gli aspetti più eversivi e passando un’immagine innocua ed edulcorata. Questa strategia assume proporzioni imbarazzanti quando si tratta di raccontare ciò che avviene in altre parti del mondo, specialmente quelle di cui l’utente medio non sa nulla. Gli esempi in questo caso si potrebbero sprecare: le proteste a Cuba sono presentate come la voce di un popolo oppresso che chiede una transizione democratica (ovviamente sul modello americano), quando invece è noto a chiunque quanto queste cosiddette proteste in America Latina siano in realtà eterodirette dagli USA; allo stesso modo, l’appoggio NATO e UE alle proteste filoeuropeiste in Bielorussia viene presentato come una sincera preoccupazione affinché i diritti umani vengano rispettati e non certo, come è in realtà, un appoggio finalizzato a instaurare delle basi militari NATO il più vicino possibile alla Russia.

Esempi del genere ce ne sono a migliaia (Palestina, Hong Kong, Afghanistan, Kazakistan, Ucraina…), ma questa strategia censoria della neutralizzazione non si applica solo a contesti esteri, riguarda invece anche gli avvenimenti interni al mondo occidentale. Un esempio emblematico è quello della comunicazione della crisi ambientale e dei movimenti connessi. Una volta che non è più possibile ignorare la portata del problema climatico i media cominciano a parlarne come un fatto di costume da impaginare poco prima della rubrica “spettacolo” e, soprattutto, passano il messaggio vago e generale della colpa “umana” del cambiamento climatico. Il fatto di non individuare il vero responsabile (cioè il mito capitalista di una crescita indefinita e di sfruttamento indiscriminato di risorse umane e naturali), ma di limitarsi ad additare genericamente l’Uomo, permette, da una parte, una facile critica alla stortura della natura umana avida e malvagia e, dall’altra, prospetta la soluzione del problema nelle “piccole azioni di ogni giorno” come se si trattasse di emendare un peccato originale sui generis e non, più precisamente, di discutere il modello produttivo e di consumo. Tutto ciò ha l’effetto di indurre nello spettatore, nel fruitore di queste notizie distorte una solerzia tale da cambiare alcuni atteggiamenti quotidiani (raccolta differenziata e simili). Ma, nello stesso tempo, lo spettatore subisce anche l’effetto controproducente di provare la sensazione di “aver fatto la propria parte”, di “aver la coscienza pulita”, dove invece i veri problemi non sono stati neanche toccati.

Tutto ciò riguarda anche il racconto che vien fatto dei movimenti ambientalisti: sfruttando l’ambiguità e, spesso, anche l’ingenuità di questi movimenti, i media mainstream riescono a selezionare i lati più innocui delle loro posizioni, per proporli come il succo del loro messaggio. Gli attivisti, di conseguenza, non sono dipinti come delle persone pericolose per il sistema, ma come dei giovani dal volto pulito e dalle rosee speranze che gentilmente ci ricordano l’importanza di consumare meno plastica, di comprare auto elettriche e, soprattutto, di avere fiducia nelle soluzioni di quei governi (occidentali, s’intende) che proclamano solennemente di avere a cuore l’ambiente.

Nel momento in cui queste istanze e questi movimenti contro-egemonici risolvono la loro ambiguità interna in modo tale da non permettere più una narrazione distorta e neutralizzante, ma in modo tale da presentare ad ogni occasione e sotto ogni aspetto il loro radicale anti-capitalismo, la strategia censoria muta e si trasforma in una vera e propria macchina del fango. Questi movimenti diventano quindi dei covi di complottisti irrazionalisti, di proto-fascisti o di anarco-insurrezionalisti davanti ai quali ogni buon cittadino benpensante deve inorridire, deve rifiutare ogni confronto perché, per come vengono presentate, le idee di questi movimenti non meritano rispetto, ma solo un’alzata di spalle e uno sguardo di superiorità. Di più, la narrazione dominante assume veri e propri caratteri di guerra del Bene contro il Male e col Male, si sa, ogni compromesso è bandito.

Per restare sull’esempio dell’ambientalismo, si può sostenere che la comunicazione non abbia ancora attivato la macchina del fango e che, per il momento, oscilli tra la neutralizzazione e il passaggio sotto silenzio delle posizioni più eterodosse. Si veda, a questo proposito, l’unanime condanna dei movimenti ambientalisti della tassonomia delle energie verdi operata dall’UE: non una parola al TG. Gli ambientalisti, soprattutto i giovani, continuano ad essere presentati come delle sardine sui generis. Ma si può ipotizzare che una volta emendati i lati filoeuropeisti e liberali, anche gli ambientalisti verranno tacciati, ad esempio, di essere “radical-chic” od “oltranzisti”. Avvisaglie di questo ci sono già stati in alcune dichiarazioni del ministro Cingolani.

Travolti in pieno dalla macchina del fango sono stati, invece, i No Green Pass, che sono stati dipinti come il perfetto capro espiatorio, il nemico interno su cui scatenare l’odio sociale dei benpensanti. I TG e i giornali più diffusi hanno proposto riduzioni standardizzanti del No Green Pass medio (o, il che è lo stesso dal punto di vista dei media mainstream, del No Vax): analfabeta funzionale, irrazionale, fascista. Tutto questo è stato ovviamente funzionale a creare coesione verso le scelte governative, che vengono presentate non come una politica sanitaria tra le tante possibili, ma come la voce della Scienza. Chi contesta queste scelte è subito trattato come un traditore e “invitato” a convertirsi al Bene.

Davide Sali

SEGUICI SU TELEGRAM

La Fionda / Illustrazione di copertina: Mark Smith

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *