
Ukraine on fire
C’è il documentario di Oliver Stone, “Ukraine on fire”, che è un masterpiece, da vedere. Riesce a ricostruire molto bene la cornice storico-temporale di Ukraina, e in particolar modo gli ultimi 100 anni, evidenziando quel filo nero che lega il regime attuale di Kiev con il movimento indipendentista ucraino del 1939, collaborazionista di Hitler ed esecutore di genocidi di ebrei e polacchi, con modalità insuperate per sadismo e atrocità. Oggi il leader di quel movimento, Stepan Banderov, è eroe nazionale e figura di ispirazione di politici e oligarchi di orientamento filo-atlantista, alcuni di cui, paradossalmente, appartenenti all’etnia lesa.
Oliver Stone intervista l’ex presidente Yanukovich, intervista Putin e un giornalista d’inchiesta americano ed evidenzia chi è l’aggressore in Ukraina, ossia quel cerchio politico, o il think tank imperialista, che si radica nella struttura di CFR e usa figure come John Kerry, Biden, Obama, Nuland per ‘nobilitare’ il proprio interventismo nel cuore della Russia. La strategia usata dalla diplomazia americana comprende gli stessi format e tecniche adoperati anche negli altri paesi ‘nemici’, ma con una maggiore scrupolosità e cospicui investimenti, vista l’importanza geopolitica di Ukraina, che effettivamente diventa il 51 Stato degli USA. E’ stata necessaria una preparazione decennale affinché si potesse arrivare al grado di violenza e al livello di organizzazione criminale che ha contraddistinto il Maidan e le stragi e la repressione in Donbass e Odessa.
Più che altro dagli eventi trasuda un estremismo, un fanatismo nazionalista che si fonda davvero su un odio anti-russo allucinante, su basi razziali, anti-slave, il che porta a chiedersi: perché il nuovo regime nazionalista ci tiene così tanto all’integrità territoriale di Ukraina, visto che vuole reprimere e annientare l’etnia russa che costituisce più del 50% della popolazione e occupa il territorio all’est di Dnepr?

Il film finisce con un episodio molto inquietante, che è stato poco approfondito dai media: è l’abbattimento dell’aereo della compagnia malese nel luglio 2014 che eseguiva il volo da Amsterdam al Kuala Lumpur, colpito da un missile e schiantatosi sul suolo ucraino. Obama si era affrettato ad accusare subito le forze separatiste filo-russe ed a imporre sanzioni alla Russia, che era già interessata da sanzioni per l’annessione di Crimea, ma un’ulteriore inchiesta ha trovato le prove che l’aereo sia stato colpito dall’esercito ucraino, anche se caduto sul territorio di Donbass.
La cosa strana è che su quel volo viaggiavano anche alcuni fra i migliori esperti e ricercatori nel campo dell’Aids che erano diretti a una conferenza a Melbourne proprio su questo tema, il che apre un sacco di interrogativi. E anche se riguarda un altro tema, non è escluso che tutto sia connesso.
Il documentario di Stone è precedente al capitolo Zelensky, ma dubito che l’attore/presidente attuale, già svalutato da eccessiva esposizione mediatica, possa rappresentare un autentico interesse per il regista.
Comunque, anche oggi, Oliver Stone è uno dei pochi che quando parla degli ultimi eventi non ha bisogno di fare la marchetta dichiarandosi contro Putin. Non ha proprio bisogno di giustificarsi per dire quello che pensa e quello che vede. Ed è in buona compagnia di altri artisti ed intelettuali negli USA, dove stranamente il documentario è censurato.

Nel turbolento avanzamento degli eventi, se dovessimo tirare la riga dopo il trend mediatico che osserviamo oggi, possiamo dire che nella Seconda Guerra Mondiale i russi non hanno liberato l’Europa dai nazisti, ma hanno invaso e aggredito l’Europa, interrompendo il manifico piano nazista di dominio globale. Una ‘stortura’ storica che però è stata corretta dalla UE che si è rifatta sull’eredità dottrinale ed istituzionale del Terzo reich. (E’ consigliabile leggere gli studi dello storico britannico Perry Anderson per capire la vera anima della UE. ) Ecco spiegato anche l’amore irresistibile dei governi membri per la “resistenza” ucraina. Ed ecco spiegato anche l’ultimo obbiettivo della “cancel culture”.

