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Varianti e inflazione: cronaca di una demolizione controllata

Dopo quasi due anni, eccoci di nuovo qua. Mascherine, distanziamenti, quarantene, restrizioni, lavoro a distanza (per chi ancora ce l’ha), bombardamenti mediatici a tappeto, assolutismo vaccinale e, immancabile, l’ombra lunga di devastanti lockdown – già caldamente sponsorizzati, tra gli altri, dal Fondo Monetario Internazionale. Ma questa volta con l’aggiunta di fiammate inflattive che svalutano il denaro e bruciano i risparmi, spingendo una parte sempre più ampia di popolazione nella spirale del debito e della povertà.

Iniezioni monetarie

A nostro avviso, la funzione profonda dell’emergenza sanitaria può essere compresa se inserita nel contesto macro di pertinenza, ovvero la crisi terminale del modo di produzione capitalistico. La sequenza causale ci pare la seguente: implosione economica – strumentalizzazione pandemica – emergenza democratica. Se dovesse andare a compimento, il cambio di paradigma in atto ci condurrebbe dritti a un modello apertamente autoritario di capitalismo implosivo, sostenuto da allarmi globali spesso sproporzionati rispetto alla minaccia reale. Come dimostrato dalla creazione del capro espiatorio ‘no vax’, il potenziale della propaganda è virtualmente illimitato. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la colpa di un trattamento che non funziona nelle modalità millantate viene affibbiata a coloro che non lo usano.

Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’attuale violenza ideologica è un riflesso quasi pavloviano rispetto all’incombere del collasso economico. Stiamo naufragando in una crisi di sistema che nel 2008 ha assunto per la prima volta un carattere terminale. Allora, il salvataggio del settore finanziario portò alla crisi dei deficit sovrani nell’Unione Europea (2010-11), che resero ancor più imprescindibile il ricorso permanente ai programmi di Quantitative Easing delle banche centrali (iniezioni di denaro elettronico attraverso acquisti di asset finanziari). A partire dalla fine del 2008, queste politiche monetarie selvagge sono diventate la norma per la Federal Reserve [i], gonfiando enormi bolle finanziarie sfociate, nel settembre del 2019, nel congelamento del mercato interbancario (repo) a Wall Street. Quest’ultimo evento insieme alla logica perversa del ‘capitalismo pandemico’ ha permesso allo 0.1% di accrescere i propri profitti a velocità record, a scapito di tutti gli altri.

Come recentemente illustrato da Pam e Russ Martens, il 17 settembre 2019 la Federal Reserve iniziò un programma straordinario di prestiti ai suoi cosiddetti primary dealers di Wall Street (tra cui JP Morgan, Goldman Sachs, Barclays, BNP Paribas, Nomura, Deutsche Bank, Bank of America, Citibank, ecc). In data 2 luglio 2020 (ultima attualmente disponibile sul database della Fed) il valore cumulativo di questi prestiti, con collaterale in Treasuries e Mortgage-Backed Securities, ammontava a più di 11 mila miliardi di dollari. La dimensione assolutamente inaudita di questa massa creditizia passata dalla Fed ai principali operatori finanziari ci conferma senza ombra di dubbio che, a pochi mesi dall’arrivo di Virus, Wall Street era sull’orlo del baratro. A riprova della persistente fragilità del mercato dei prestiti interbancari, il 28 luglio 2021 la Fed ha annunciato la creazione di una Standing Repo Facility che mette a disposizione dei suoi 24 dealers primari (e, se necessario, di altre controparti) circa 500 miliardi di dollari di credito settimanale.

In un recente articolo ho sostenuto e documentato che le contromosse al potenziale tracollo erano state pianificate per tempo. I sacerdoti dell’alta finanza sapevano che l’espansione della massa monetaria post-2008 era divenuta ingestibile, specie quando accompagnata da un rallentamento economico globale che, proprio nel 2019, aveva spinto Germania, Italia e Giappone verso la recessione tecnica, mentre Gran Bretagna, Cina e altre potenze arrancavano pericolosamente. Di fronte al rischio di un crollo improvviso, non è azzardato ipotizzare che si sia preferito pilotare l’incidente e chiamare in anticipo l’ambulanza, che infatti arrivò puntuale: allo scoppio della trappola di liquidità nel mercato dei prestiti interbancari fu prescritta una dose più elevata della stessa medicina, ovvero un’espansione senza precedenti dello stimolo monetario. Ma questa volta sotto la protezione dello ‘scudo pandemico.’ E oggi le cose funzionano in modo sostanzialmente identico: l’emergenza sanitaria continua a operare anche come un’enorme coperta di Linus per un’economia globale che affonda sotto montagne di deficit fuori controllo e debiti insostenibili.

È importante fare chiarezza sulla tipologia di espansione monetaria in questione. Nell’agosto 2019 un documento di BlackRock (il fondo investimenti più potente al mondo)[ii] esplicitamente intitolato Dealing with the Next Downturn (‘Come affrontare la prossima recessione’), e redatto da banchieri del calibro di Stanley Fisher e Philipp Hildebrand, aveva indicato alla Federal Reserve la via da seguire per evitare brutte sorprese: una politica monetaria letteralmente “senza precedenti”, per cui enormi masse di denaro creato dal nulla dovevano finire direttamente in mani pubbliche e private, aggirando in questo modo i tassi di interesse. Questa operazione, denominata “going direct” da BlackRock, fu puntualmente messa in pratica un mese più tardi grazie appunto alla crisi dei repo. Da allora il bilancio della Fed è cresciuto di circa 5 mila miliardi di dollari, espansione assolutamente straordinaria anche rispetto ai QE attivati dal 2008 (senza aggiungere le decine di migliaia di miliardi creati dalle altre banche centrali, così come i programmi di stimolo fiscale tipo ‘helicopter money’).

Come argomenta con dovizia di particolari John Titus, la vera novità di questa accelerazione monetaria è in un certo senso qualitativa. In tutta la storia della Fed (fondata nel 1913) non vi era mai stata correlazione diretta tra la creazione di riserve e l’offerta monetaria nel circuito tradizionale delle banche commerciali. Come per incanto, invece, a partire dal settembre 2019 la corrispondenza diventa perfetta: il denaro creato dalla Fed viene replicato dollaro per dollaro nel circuito delle 4.336 banche commerciali statunitensi, che funge da catena di trasmissione all’economia reale. In altre parole, la curva dell’erogazione di denaro complessiva nell’economia reale viene a dipendere direttamente dall’espansione del bilancio della Fed – esattamente la medicina ordinata da BlackRock e legittimata da un’emergenza pandemica prorogata fino ai limiti del tragicomico (non a caso, BlackRock aveva chiesto che il cambio di policy fosse “permanente”). La ‘pandemia’, infatti, ha consentito di contenere il rischio iperinflazionistico connaturato nell’operazione “going direct”, che a differenza dei precedenti programmi di QE proponeva di iniettare la nuova massa monetaria direttamente nelle casse di chi l’avrebbe utilizzata. Come si legge nel documento di BlackRock, la messa in atto di questo “inusuale coordinamento monetario” necessitava di “inusuali circostanze” – evidentemente, proprio quelle sopraggiunte a inizio 2020.

In realtà, non importa stabilire in quale esatta misura la manovra going direct sia coincisa con il massiccio programma di prestiti repo. Piuttosto, dobbiamo tornare a sottolineare il punto essenziale: nel settembre 2019, prima che la crisi sanitaria giustificasse ulteriore diluvio monetario e relativo cambio di paradigma, il castello di carte finanziario era prossimo al collasso.

Virologi a Wall Street

Come si presenta oggi il contesto macroeconomico? Ne riassumo qui alcuni punti base:

  • Debito globale di 300 mila miliardi di dollari, in crescita esponenziale
  • Deficit statali in rapido aumento sia nella maggioranza delle economie avanzate che in quelle in via di sviluppo
  • Bolla epica di azioni, obbligazioni, immobiliare, e soprattutto derivati
  • Inflazione potenzialmente fuori controllo

Stabilito il contesto, non è difficile comprendere come il riferimento costante all’emergenza sia una narrazione di copertura che permette di governare un’implosione ormai ingestibile con i soli strumenti della policy economica. A nostro avviso, la crisi sanitaria consente ai funzionari del capitale di giocarsi l’ultimo asso nella manica: l’inflazione, con conseguente demolizione controllata di ciò che resta dell’economia produttiva di (plus)valore e corrispettiva infrastruttura democratica. Essenziale per la ‘nuova normalità’ è tanto la graduale rimozione di libertà individuali, quanto l’ulteriore erosione di redditi e risparmi, già considerati un lusso rispetto alle esigenze del neoliberismo. L’emergenza consente infatti la regimentazione di intere popolazioni mentre l’economia reale viene ulteriormente depressa. Nel momento in cui l’universo finanziario si consacra come centro assoluto di produzione di valore (con gli indici S&P 500, Nasdaq e Dow Jones che a fine 2021 segnano una serie di massimi storici), il mondo del lavoro ne risulta vieppiù ridimensionato, privato di diritti, e costretto al ricatto occupazionale. Ma le medie italiane di quattro morti sul lavoro al giorno interessano poco o nulla agli ansiogeni cantori del sistema. Perché è del tutto evidente che pilotare l’implosione attraverso la gestione autoritaria della crisi sanitaria è molto più conveniente che dover dar conto di una depressione socio-economica ormai inarrestabile.

D’altronde il collasso di sistema era nell’aria da tempo, e ai macchinisti dell’ormai logora locomotiva capitalista non restava altro che cercare di controllarlo, indirizzandolo a loro favore. Per questo il whatever it takes di Mario Draghi (luglio 2012) assume oggi connotazioni sempre più truci, specie alla luce della sua affermazione che, a differenza dei vaccinati che possono godersi la vita in piena libertà senza contagiare il prossimo, i non vaccinati muoiono e uccidono (luglio 2021) – parole di inaudita violenza discriminatoria oggi smentite dai fatti eppure ribadite dallo stesso Draghi. Peraltro è infantile pensare che governi, istituzioni, media, e autorità sanitarie agiscano in autonomia. Piuttosto, attraverso di loro parla sempre il Potere (economico-finanziario), quella Cosa che ci vogliono far credere non esista più, quasi si fosse improvvisamente estinta come i dinosauri. O trasformata in filantropia.

Vogliamo sapere come nasce l’uso politico-mediatico delle varianti? Basta chiedere ai mercati. Come ci ricorda Mauro Bottarelli, i virologi migliori operano a Wall Street. Sono quei traders che cinque settimane prima della comparsa di Omicron già sapevano che sarebbe riandato in onda il Covid horror-show, vista la prezzatura dei titoli azionari del cosiddetto paniere emergenziale. La sproporzione tra impatto sanitario e misure repressive si spiega dunque in termini economici. La strategia comunicativa legata all’irrompere della nuova variante diventa, nei fatti, uno strumento di leva finanziaria.

Cosa s’intende per leva finanziaria? S’intende che Omicron, variante nata assassina prima ancora di finire sotto il microscopio, aiuta innanzitutto a calmierare l’effetto inflattivo nel breve termine, poiché la rinnovata paura di Virus drena spese e consumi, impedendo all’enorme massa monetaria introdotta nel circuito finanziario di mettersi in moto come domanda reale dagli effetti iper-inflattivi. Ciò consente alle banche centrali di perseguire l’obiettivo ormai metafisico della stampa di denaro a getto continuo, necessaria a simulare la buona salute di un sistema finanziario in realtà zeppo di titoli tossici, aziende zombie, e detenzioni mostruose di debito pubblico. In estrema sintesi: le campagne acquisti delle banche centrali inondano i mercati di denaro fresco di stampa, tenendo i tassi di interesse inchiodati a zero e dintorni. Perché il solo pensiero di alzare seriamente i tassi farebbe brillare varie bombe a orologeria collocate nei suddetti mercati, dove tutto ruota attorno alla reperibilità di cheap cash

In condizioni di capitalismo minimamente funzionale, l’inflazione si può combattere alzando il costo del denaro. Ma nell’attuale fragilissimo contesto iper-indebitato, guidato molto più da speculazioni a leva che dal PIL, questa operazione non s’ha da fare, perché i mercati dopati subirebbero conseguenze devastanti. Da una parte, quindi, il rubinetto del denaro allegro delle banche centrali deve rimanere aperto per gonfiare i mercati finanziari; dall’altra, l’inflazione dei prezzi nell’economia reale, dovuta in massima parte al rubinetto aperto, dev’essere maneggiata con cura per evitare il caos sociale. E, insieme, per governare il passaggio a un regime di accumulazione autoritario in cui la depressione socio-economica è giustificata dal mantra emergenziale.

Riassumiamo: l’uso politico-mediatico di varianti tipo Omicron sembra una mossa strategica atta a perpetuare politiche monetarie espansive e prevenire l’innalzamento del costo del denaro, che scatenerebbe il panico sui rendimenti finanziari, che a sua volta vaporizzerebbe i bilanci di più di un’istituzione finanziaria e manderebbe in orbita gli spread sovrani di paesi come l’Italia, con conseguente sanguinamento sui costi di finanziamento del debito. Una drammatica svalutazione della sovrastruttura finanziaria porterebbe alla rovina, in un modo o nell’altro, il debito pubblico, minando così la capacità dello Stato di finanziare le proprie operazioni. In questo senso, la narrazione emergenziale permette a paesi come l’Italia e la Grecia (che puntualmente hanno adottato le misure più draconiane rispetto a Omicron) di mendicare ulteriori stimoli: dal prolungamento degli aiuti statali e europei fino alla richiesta di revisione del Patto di Stabilità.

Ma siccome non esistono pasti gratis, questa folle fuga in avanti del capitale a leva finanziaria incontra per forza di cose la sua nemesi nel mondo reale: più povertà e regime per tutti (o quasi). Ovvero: l’inflazione viene tenuta sotto controllo grazie a politiche salariali restrittive e al contenimento dei consumi dovuto all’emergenza sanitaria. Se fino a qualche tempo fa la classe operaia poteva aspirare a diventare classe media, ora la classe media può solo aspirare a impoverirsi. È in questo senso che dobbiamo inquadrare le varianti come strumenti di ‘gestione sanitaria’ del passaggio epocale a un capitalismo senescente di tipo neo-feudale amministrato tramite signoraggio monetario, la cui longevità potrebbe superare qualsiasi ottimistica aspettativa di trasformazione radicale.

L’inciucio della lotta all’inflazione

Abbiamo osservato come il discorso sulla nuova variante Omicron facilita la gestione biopolitica di un’inflazione che, se lasciata al suo corso, rischia di sfuggire di mano. Al punto che anche Chairman Powell, capo della Fed, si è visto costretto a rinnegare la narrazione mitologica della transitorietà, che lui stesso aveva alimentato. Da notare che negli USA siamo a +6.8% su base annua, dato mai così elevato dal 1982 – e se aggiungiamo l’inflazione sui prezzi delle case arriviamo tranquillamente in doppia cifra. In più, si tratta di un dato ‘governativo’, quindi tipicamente inferiore a quello reale. La soluzione? Per il momento si procede a botte di variante deflattiva, con l’aggiunta di miseri trucchetti da mago Otelma: da gennaio 2022, per esempio, l’inflazione sui prezzi al consumo (CPI) statunitensi verrà calcolata in base ai dati del periodo 2019-2020, così da ridimensionarla artificialmente.

Al netto delle aggiustatine statistiche, l’attuale aumento dell’inflazione è da record non solo negli USA, ma anche in Gran Bretagna (+5.1% a novembre), presentandosi inoltre come il più veloce della storia dell’Euro. Cosa, quest’ultima, che provoca forte disagio a Madame Lagarde, che infatti non alza i tassi e interrompe il PEPP (programma emergenziale) solo per sostituirlo con strumenti di QE tradizionale, e eventualmente ripristinarlo se la ‘pandemia’ dovesse continuare a mordere – classico esempio del plus ça change, plus c’est la même chose. Ricordiamo che in Italia, a ottobre 2021, i prezzi alla produzione (PPI) sono lievitati oltre il 20% su base annua, un aumento che si trasmette su tutta la filiera produttivo-distributiva fino ai consumi. La situazione è dunque molto più delicata di quanto non ci raccontino. Per questo la gestione dell’inflazione è un tassello essenziale del palinsesto pandemico-emergenziale: se da una parte occorre evitare la deriva iperinflattiva, dall’altra un’inflazione governata oculatamente attraverso politiche emergenziali legittima l’ulteriore depressione dell’economia reale e il mantenimento dello status quo finanziario. Ricordate lo slogan del World Economic ForumNon avremo nulla e saremo felici!

L’inflazione, dunque, torna utile alla gestione della transizione autoritaria verso una società globale a due livelli, in cui pochissimi detengono il controllo dell’offerta monetaria mentre le moltitudini vengono soggiogate tramite povertà, ricatto, e paura. Anche perché, dettaglio di non poco conto, l’inflazione sgonfia il debito pubblico, visto che le montagne di liquidità inflattiva delle banche centrali deprimono sia i tassi che i rendimenti obbligazionari, riducendo dunque il valore reale del debito. Qualora il taper della Fed (riduzione degli acquisti) dovesse invece diventare realtà, le quotazioni delle obbligazioni potrebbero rapidamente salire. Ripetiamo però il concetto centrale: un taper serio sarebbe catastrofico per quasi tutte le classi di attività finanziaria, e dunque avrebbe la durata del battito d’ali di un colibrì. Ecco perché oggi non ci viene detta la verità sulla riduzione degli stimoli, come dimostra il fatto incontestabile che, da quando Powell ha annunciato il graduale ritiro degli aiuti pandemici nel novembre 2021, il bilancio della Fed è in realtà aumentato. Ciò significa che l’unica strada percorribile, al netto della dipendenza ormai cronica dal metadone monetario, sembra essere quella dell’inciucio: fingere pubblicamente di combattere l’inflazione continuando invece ad alimentarla in privato.

Dopo due anni di assalti all’intelligenza media, anche i più fedeli alla linea dovrebbero trovare il coraggio di ammetterlo: la lotta al COVID-19 è soprattutto il nome della risposta, violenta e disperata, a un’implosione divenuta ingestibile; una sorta di assicurazione sulla vita dei mercati e, insieme, dei debiti sovrani che lì cercano finanziamento. Bisogna riconoscerlo con grande chiarezza: l’estremizzazione del paradigma emergenziale ci sta dicendo che intere società sono ostaggio della riproduzione di valore fittizio nel settore finanziario. Perché il prezzo di un mercato perennemente bullish (in rialzo) sono, nell’ordine, varianti a esaurimento d’alfabeto, raffiche vaccinali a scadenza ravvicinata per tutti senza valutazione del rischio, impietose ondate di terrore mediatico, e tutta una serie di normative kafkiane finalizzate a 1) ingessare e deprimere l’economia reale per tenere accesa la stampante di denaro; 2) abituarci a chinare la testa dinanzi all’uso politico-mediatico delle emergenze presunte o reali che siano; e 3) distrarci da quanto accade nell’iperuranio finanziario, dove si gioca la vera partita che decide dei nostri destini.

Come tutte le guerre, la ‘guerra al Covid’ legittima creazione di denaro dal nulla e abbattimento dei tassi, che causano inflazione. Ma questa logica, oggi, non può che risolversi nella centralizzazione assolutistica del controllo monetario. Non c’è altra via d’uscita. Perché l’inflazione che abbiamo di fronte non è semplice conseguenza di criticità nella catena delle forniture, come ci hanno raccontato. Piuttosto, è l’inevitabile risultato dell’eccessiva offerta di denaro fittizio, che ora scende a valle con la forza distruttiva di una valanga alpina. La logica spietata del doping monetario si traduce dunque nell’ulteriore impoverimento di popolazioni perlopiù ignare di ciò che accade, perché ipnotizzate da stucchevoli battibecchi su varianti assassine, super green pass, e altre amenità di ben poca rilevanza sanitaria.

Oltre a controllare la circolazione del denaro, l’uso politico-mediatico delle varianti gioca anche un ruolo ideologicamente aggressivo: creano l’humus ideale per ulteriori strette autoritarie. Se tutto andrà come programmato, buona parte dell’umanità, già nel medio termine, dovrà sottostare a una forma di schiavitù monetaria (oltre che biopolitica), imposta dai nostri munifici governanti come soluzione a quella Grande Svalutazione che non potrà più essere nascosta o esorcizzata. Per questo ci devono addestrare a vivere nella paura, costringendoci a interiorizzare la nuova normalità come condizione di totale precarietà esistenziale.

La gestione dell’ingestibile

Nel frattempo, Draghi ha rispolverato i manuali di economia asserendo che l’unico modo di contrastare l’indebitamento pubblico è far crescere il PIL. Bella scoperta. Lui per primo però dovrebbe sapere che nelle condizioni storiche di fine impero in cui ci troviamo, l’economia reale non potrà mai tornare a crescere ai livelli necessari alla riproduzione sociale – a meno che tale riproduzione non venga ridotta ai minimi termini attraverso, appunto, lo smantellamento pilotato della società del lavoro. Per anni abbiamo alimentato una falsa economia radicata in una spesa pubblica sostenuta dagli acquisti della banca centrale e dai tassi d’interesse in area zero. Duole dire che tutto ciò non ha nulla a che vedere con la crescita reale.

Ergo, scordiamoci il passato: la belle époque del capitalismo a base (o aspirazione) socialdemocratica è definitivamente tramontata. In un contesto liberale non può più esserci crescita sufficiente alla riproduzione capitalistica delle nostre società. Questo per una ragione immanente e oggettiva, tanto elementare quanto comprensibile solo allargando l’obiettivo sull’evoluzione storica del nostro modo di produzione: a partire dagli anni ’70, il lavoro produttivo di valore è stato gradualmente stritolato dal capitale stesso attraverso la sua santa alleanza con scienza & tecnologia, dettata dalla competizione. Un harakiri di cui i tristi burocrati del capitalismo emergenziale non vogliono proprio rendersi conto.

A causa di quella che già Keynes aveva correttamente fotografato come l’epoca della ‘disoccupazione [o sottoccupazione] tecnologica,’ il capitale a sempre più alta composizione organica non è in grado di spremere sufficiente plusvalore (sia relativo che assoluto) dal lavoro salariato, e per questo si butta a capofitto nel magico mondo della finanza, dove è il denaro stesso che viene messo al lavoro. Com’è noto, Marx aveva anticipato questa condizione con la teoria della ‘caduta tendenziale del saggio di profitto,’ esposta nel terzo volume del Capitale. Tuttavia, il Moro di Treviri non poteva prevedere gli effetti implosivi dell’aumento esponenziale dell’automazione, che oggi si manifestano appieno nella dipendenza (nel senso patologico del termine) di economie, stati e dunque intere società da montagne di denaro fittizio destinato a rovinosa svalutazione. Il collasso finanziario avverrà probabilmente con il crollo del mercato del debito (il motore dell’intero sistema), che alimenterebbe un picco incontrollabile dei tassi d’interesse e dunque l’evaporazione del dollaro e di molte altre valute fiat.

Per il momento, questo evento viene rimandato grazie a dinamiche di emergenzialismo autoritario. Come abbiamo visto, l’accelerazione monetaria della Fed, operativa già dall’autunno 2019, è stata possibile solo ingessando l’economia reale attraverso la simulazione pandemica. Frastornando le masse con dosi massicce di Virus-fobia, e mettendole ai domiciliari in attesa del siero miracoloso (che, come ampiamente previsto, si è rivelato miracoloso soprattutto per le case farmaceutiche), i nostri governanti, governati dalle élites finanziarie, hanno consentito alle banche centrali di rimpinguare il settore speculativo e gestire il mostro inflattivo.

Dopo i fallimenti neo-keynesiani (politiche di spesa pubblica) e neoliberisti (politiche di austerità e deregolamentazione dei mercati) siamo dunque giunti alla fase del ‘capitalismo pandemico,’ cui presto faranno seguito altri e altrettanto disperati tentativi di gestire l’ingestibile. In termini capitalistici, il gigantismo finanziario è inevitabile conseguenza della crescente incapacità del capitale di creare nuovo plusvalore, sintomo di un’impotenza talmente traumatica che si fa di tutto pur di non vederla. Ma il prolungamento dello stato di emergenza – ovvero il Covid lungo delle Banche Centrali – non ci salverà dal crollo, che probabilmente avverrà come incidente controllato dall’alto piuttosto che come evento inatteso. Perché le élites sanno che non si può arrivare d’emblèe a una situazione iperinflattiva, che porterebbe a disordini sociali di complicatissima gestione. Ma sanno anche che si può provare a governare la depressione attraverso narrazioni emergenziali e il graduale impoverimento e asservimento di moltitudini impaurite.

Conviene dunque prepararsi. Possibilmente, cominciando a riflettere su come istituire forme autonome di convivenza sociale che non siano dipendenti da un modello riproduttivo in piena decomposizione e, per questo, sempre più violento e criminoso. La politica, lo constatiamo ogni giorno, è ormai completamente collusa, schiava del dogma economico, e quindi esautorata da qualsivoglia impulso emancipatorio. Come riassunto icasticamente da Franco Berardi (Bifo), allo stato attuale la sinistra politica può solo offrire false prospettive: “Non c’è alcuna via d’uscita politica dall’apocalisse. La sinistra è stata per trent’anni lo strumento politico principale dell’offensiva ultracapitalista, chiunque investa le sue speranze nella sinistra è un imbecille che merita di essere tradito, dal momento che tradire è la sola attività che la sinistra è in grado di svolgere con competenza.” Ma quello del tradimento della sinistra è un tema che richiederebbe un’analisi ben più approfondita, che va oltre lo scopo di questo intervento.

Piuttosto, per salvare quel che rimane della nostra dignità e intelligenza critica, e la speranza di un mondo migliore per i nostri figli, dobbiamo liberarci almeno mentalmente dalla soggezione alla pseudo-pandemia sostenuta dalla pseudo-scienza assurta a nuova religione globale. E per comprendere le ragioni dell’attuale implosione socio-economica dobbiamo riabilitare quella filosofia che considera il capitalismo un rapporto sociale ontologico, una Weltanschauung, ovvero una visione del mondo incarnata nel rapporto dialettico tra denaro e lavoro, mirato alla creazione di plusvalore, merce, e profitto. Che piaccia o meno, questo mondo è già un morto che cammina. Per tenersi artificialmente in vita, sa di dover passare alle maniere forti. Il principale compito delle generazioni future non asservite sarà ridefinire il rapporto tra lavoro, comunità, e ricchezza sociale oltre la sua accezione capitalistica. Ma perché ciò accada, dovremo prima trovare il coraggio e la convinzione di resistere all’attuale deriva autoritaria legittimata dal ‘capitalismo emergenziale.’

Fabio Vighi

Professore presso Università di Cardiff

Note:

[i] La BCE operò tramite operazioni di rifinanziamento a lungo termine, dette LTRO, a partire dal 2011, per poi attivare il QE dal 2015.

[ii] Oltre a aver di fatto occupato l’amministrazione Biden, BlackRock è principale o grande azionista di migliaia di aziende e società finanziarie, tra cui Apple, Amazon, Google, Microsoft, Facebook, JP Morgan Chase, e, immancabilmente, Pfizer, insieme a una grossa fetta di Big Pharma.

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La Fionda / Illustrazione di copertina: Jim Tsinganos

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