Vietato rimanere in posizione eretta
Sulla nazionale di calcio italiana e sul gesto di inginocchiarsi per la causa anti-razzista.
Il finto sdegno da perfetto salottino borghese scatenatosi in queste ultime ore mi spinge, anzi, mi costringe a fermarmi giusto un minuto su quanto sta accadendo. In sintesi: diverse testate nazionali e diversi blog stanno esprimendo il proprio biasimo per quanti, fra gli azzurri, non si siano inginocchiati poco prima dell’avvio della partita contro il Galles. Il tenore degli articoli oscilla tra il rammarico per “un’occasione persa” e la criminalizzazione vera e propria di quanti siano rimasti in posizione eretta.
Ora, due premesse:
– sarò rapido, perché proprio non voglio perdere il mio tempo dietro certe assurdità;
– se ho scelto di intervenire e di dare il mio piccolo contributo alla discussione è solo perché, pur trattandosi di assurdità, la potenza mediatica manifestatasi merita che siano messi i puntini sulle i.
Dunque mettiamoli, questi puntini sulle i. Allora, in questa vicenda c’è bisogno di due chiarimenti, un chiarimento sul piano teorico e un chiarimento sul piano pratico.
1) Sul piano teorico va riaffermato il diritto di ogni individuo di non sentirsi in colpa né di essere colpevolizzato per qualcosa che non ha mai fatto e che ha perfino contribuito a contrastare per mezzo della sua condotta quotidiana.
Difatti, la maniera in cui uno vive la sua vita tutti i giorni, i valori in cui egli crede e le condotte che egli promuove (anche e soprattutto quando si imbatte in ciò che mette a rischio quei valori) sono molto più utili, molto più efficaci e molto più importanti di un gesto plateale tramutatosi ben presto in una sorta di precetto di costume che, se rifiutato, sarà valevole e sufficiente – sempre stando all’opinione di certi benpensanti – per distinguere i non-razzisti (si noti che sto dicendo “non-razzisti” anziché “anti-razzisti”, e tra un momento dirò il perché) – coloro che si inginocchiano – dai razzisti – coloro che non si inginocchiano.
In altre parole: si imposta il gioco di costume all’interno della società, si definiscono arbitrariamente le sue regole e dunque si pretende, sulla base di tali regole, di giudicare la condotta di chiunque, contribuendo così alla creazione di categorie del tutto nuove di responsabilità e di irresponsabilità sociale. Dopodiché si ha l’arroganza di dire a chiunque nel mondo che chiunque nel mondo è coinvolto, in quanto parte della società; infine si passa a ciò che si sa fare meglio: puntare il dito.
Mi sto già dilungando troppo. Vedete, non è vero – ovviamente – che un gesto del tipo inginocchiarsi possa combattere alcunché, o confessare alcunché sul nostro conto. È solo l’ultima tendenza di una certa – in senso lato – politica tutta concentrata sulla tenuta delle apparenze, non altro che questo. Uno può inginocchiarsi se vuole, ma il suo gesto non rivelerà nulla della persona che è e delle condotte che egli ha ogni giorno.
A ciò debbo aggiungere un’altra importante precisazione, sempre sul piano teorico (e mi accingo così a spiegare perché ho scelto di dire “non-razzisti” anziché “anti-razzisti”) : non esiste l’anti-razzismo, nello stesso identico modo in cui non esiste l’anti-fascismo. Esistono il razzismo, il fascismo e così via, ma i loro corrispettivi dotati del prefisso “anti-” non esprimono alcun costrutto teorico, logico e illogico che sia. Io lo so che alcuni non capiranno veramente ciò che intendo dire, mi sta bene, mi assumo questo rischio.
Cercherò di dirlo nella maniera più semplice che mi venga in mente: io posso dire non essere razzista, ma poco mi curo di dire ch’io sia anti-razzista, perché non ne ho alcun bisogno, non essendo razzista. Posso combattere il razzismo, certo: se mi imbatto in una discriminazione razziale, intervengo, urlo, difendo i diritti dei più deboli, faccio valere i miei valori. I miei valori non sono “anti-razzisti”, per la semplice ragione che dire “anzi-razzismo” non significa nulla, non esprime nulla, non è portatore di nulla, se non della necessità di evitare e contrastare condotte razziste: ma questa è una necessità ch’io soddisfo già di mio per le cose in cui credo, e tale soddisfazione risulta proprio e solo dal mio non essere razzista. Non ho bisogno che qualcuno stabilisca un modo per decidere – per me, su di me, di me – s’io sia razzista o non sia razzista. È una cosa che mi si può semplicemente chiedere, e che ancor più semplicemente si può vedere per le mie condotte.
S’io accettassi di inginocchiarmi perché così han detto certuni, io darei a questi ultimi il potere di stabilire tutte le regole di costume e di condotta che essi desiderano, e darei loro il potere di giudicare me come un buono o come un cattivo, sia adesso che in futuro. Io non mi inginocchio né mai lo farò perché io non voglio dare a questi uomini tale potere.
Sono andato per le lunghe, ma non importa. Spero di aver espresso con chiarezza ciò che volevo dire. Proseguiamo.
2) Il chiarimento sul piano pratico
I giornali e i blog che stanno commentando in toni sdegnosi i giocatori che sono rimasti in piedi stanno implicitamente dicendo – facciamo mente locale su questo, e rendiamoci conto delle contraddizioni che si porta dietro – che Verratti (uno di quelli che non si è inginocchiato), un calciatore che milita nel Paris Saint German (una squadra colma di nazionalità e colori di pelle differenti) e che abbraccia il suo compagno nero Mbappé ogni volta che può, sarebbe, sol perché non si è inginocchiato, un razzista. Magari solo “un filo”, magari “sotto sotto”; ma implicitamente si è dato del razzista a un ragazzino che da anni abbraccia dei neri e si fa la doccia in loro compagnia. Ditemi voi.
Ora, a parte gli scherzi: io ho visto quelli del Black Lives Matter marciare in strada con gli stemmi sulle maglie e le mitragliatrici in braccio (e già che ci sono vi lascio anche delle foto qui sotto). Essi saranno pure una minoranza (evviva Iddio), ma è questa minoranza, è la parte più violenta del movimento che ha dato a esso la forza per imporsi in tutto il mondo (benché istituzionalizzato in pratiche ridicole). Insomma, dal punto di vista storico e sociale non si può parlare seriamente dei Black Lives Matter senza parlare della loro violenza. Pertanto vi chiedo, non senza retorica: e io dovrei inginocchiarmi a questa gente, che fa cortei armata fino al collo, che abbatte monumenti storici e che incendia automobili e negozi? Io, che non ho mai fatto alcunché di razzista, dovrei inginocchiarmi a loro, e dovrei per giunta sentirmi in colpa se non lo faccio? Non mi inginocchierei a loro quand’anche fossero tutti dei figli di Gandhi, figurarsi con certi presupposti.
La questione è risolta, via. Passiamo a cose più serie.
Illustrazione di copertina: Stephan Schmitz